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covid nutrizione

Sclerosi multipla, primi dati sull’impatto di COVID-19

Il primo studio su 232 soggetti ha fornito risultati incoraggianti

La terapia della sclerosi multipla con trattamenti modificanti la malattia non è un fattore di rischio aggiuntivo per COVID-19. È questo il risultato preliminare emerso dal primo studio al mondo sulla correlazione tra questa patologia neurodegenerativa e nuovo coronavirus, pubblicato su “Lancet Neurology” da un’ampia collaborazione internazionale che vede una nutrita partecipazioni di neurologi italiani. I dati sono stati raccolti, a partire da metà marzo, da 78 centri specializzati su tutto il territorio nazionale e da altri 28 sparsi in 15 nazioni estere, grazie alla piattaforma MuSC-19,  messa a disposizione gratuitamente da Roche.

Lo studio si è basato sui dati clinici aggiornati, all’8 aprile scorso, di 232 persone con sclerosi multipla con sintomi da COVID-19, il 90% dei quali in trattamento con DMT. Il tampone è stato eseguito in 58 soggetti ed è risultato positivo in 57. In questa coorte ci sono stati cinque decessi; un altro paziente, oltre ai precedenti, è stato ricoverato in unità ad alta intensità di cura e altri 17 pazienti sono stati ricoverati in reparti non intensivi. In 209 pazienti l’espressione della malattia si è limitata a una varia combinazione di sintomi che non hanno comportato il ricovero ospedaliero. Tutti i decessi riguardavano persone con particolare fragilità legata alla disabilità, alle comorbilità e/o all’età avanzata.

“Al momento, questi risultati sembrano essere abbastanza rassicuranti per la maggior parte delle persone con sclerosi – ha spiegato il Prof. Marco Salvetti dell’Università Sapienza, Ospedale Sant’Andrea, di Roma – Sono in linea con quanto la Società Italiana di Neurologia, insieme ad AISM e alla Federazione Internazionale delle Associazioni SM avevano già pubblicato sulla gestione dell’emergenza da parte dei pazienti, anche in relazione ai trattamenti innovativi di uso corrente. Peraltro viene confermato che persone con sclerosi multipla con comorbilità, con disabilità e in età avanzata variabilmente combinata sono esposte al rischio di una peggiore evoluzione della malattia. Queste persone richiedono quindi una particolare cura nel prevenire l’infezione”.

Tra i paesi occidentali, l’Italia è stata tra le prime a sperimentare gli effetti della pandemia di COVID-19” ha aggiunto il dott. Nicola De Rossi, neurologo degli Ospedali Civili di Brescia, Presidio ospedaliero di Montichiari (BS). “L’impatto complessivo in tutta Italia è stato tragico, come noto, in particolare nell’Italia del Nord. Tuttavia questo ha consentito ai ricercatori italiani, in particolare ai medici ricercatori di queste regioni più colpite, nonostante la terribile emergenza clinica, di studiare l’infezione di COVID-19 e questi sono i primi dati disponibili al mondo su SM e COVID-19”.

Alessandro Visca

Giornalista specializzato in editoria medico­­­­-scientifica, editor, formatore.