Un esame del sangue per la diagnosi di trauma cranico lieve
Si chiama BTI, acronimo di Brain Trauma Indicator, il metodo messo a punto dal Weill Cornell Medical Center di New York appena approvato dalla FDA dopo uno studio clinico su circa 2mila campioni ematici, che ha dimostrato come i livelli plasmatici della proteina neuronale UCH-L1 (ubiquitin-carbossil-idrolasi L1), già nota per il suo ruolo in patologie neurodegenerative come Alzheimer e Parkinson e di quella astrocitaria GFAP (Glial Fibrillary Acidic Protein, cioè proteina fibrillare acida della glia) possano costituire un attendibile biomarker di concussione o di altro danno a carico dei tessuti nervosi, rintracciabile a livello plasmatico entro una ventina di minuti dal trauma, mentre prima occorrevano lunghi e laboriosi esami di laboratorio.
Il BTI sarà utile in situazioni della vita reale come gli incidenti stradali, l’esposizione a deflagrazioni in guerra o attentati, oppure più semplicemente nei traumi cerebrali delle partite di pallone o di rugby e football americano per i quali nel 2015 era stato messo a punto dalla Florida University un neurosteroide spray chiamato Prevasol che, attraversando la barriera ematoencefalica, induce iperattivazione del sistema glinfatico cerebrale nella rimozione delle raccolte ematiche, inibizione dell’apoptosi cellulare indotta dall’infiammazione post-traumatica e riattivazione dei mitocondri.
Grazie al BTI si saprà ora quando e se è davvero opportuno impiegare il Prevasol mentre finora ci si doveva affidare alla bravura del medico di bordo campo per capire se avviare l’altleta a una valutazione specialistica entro le cosiddette golden hours, durante le quali è ancora possibile evitare il peggio.
Con il BTI si potranno peraltro risparmiare radiazioni a volte superflue, anche se non è detto che questo esame possa sostituire la TAC, alla quale, anzi, a volte sfuggono le microlesioni che invece a un test ematico non scappano e alla fine le due valutazioni potranno diventare complementari.
D’altro canto anche un BTI negativo non indica necessariamente che la concussione non si sia verificata, ma solo che non si è verificato un rapido rilascio dei biomarker concussivi che andranno quindi verificati longitudinalmente nel tempo con successivi prelievi.