
Malattia di Alzheimer, i farmaci anti-HIV aprono nuove prospettive in terapia
Uno studio statunitense appena pubblicato su Alzheimer’s & Dementia (1) indica che l’esposizione a un trattamento per l’AIDS con NRTI (inibitori nucleosidici della trascrittasi inversa), farmaci anti-HIV che bloccano l’attivazione dell’inflammosoma, si associa con una riduzione del rischio di sviluppare la malattia di Alzheimer (AD), e tale riduzione varia dal 6 al 13% anche dopo aggiustamento per tutti i fattori confondenti. L’associazione non è invece stata osservata con altre terapie anti-HIV come gli inibitori della proteasi e dell’integrasi-transferasi.
Nella patogenesi dell’AD sarebbe implicata la risposta immunitaria innata mediata dall’inflammosoma il complesso costituito dalle tre proteine NLRP3 (2), ASC (3) e pro-caspasi 1 (4).
L’attivazione dell’inflammosoma genera citochine proinfiammatorie come IL-1β e IL-18 che favoriscono l’insorgenza di infiammazione cronica e, conseguentemente, lo sviluppo di malattie neurodegenerative (5).
Di fronte all’aggregazione aberrante di Aβ e di tau dell’AD questo oligomero triproteico risponde avviando una potente risposta infiammatoria caratterizzata dall’attivazione della caspasi-1 con rilascio di IL-1β e conseguente danno neuronale (6).
In particolare questa attivazione facilita l’ulteriore deposizione di placche di Aβ e molecole di tau, innescando un feedback che contribuisce allo sviluppo dell’AD (7) in cui gli oligomeri Aβ e le molecole di tau iperfosforilate inducono l’infiammazione neuronale che porta a neurodegenerazione e declino cognitivo (8).
Il ruolo dei retrovirus endogeni umani
In questo complesso gioco immunitario è coinvolta anche la trascrittasi inversa dei retrovirus, l’enzima che questi virus usano per “inserirsi” nel genoma della cellula ospite. Grazie a un’infezione verificatasi più di 30 milioni di anni fa (9) questi virus filogeneticamente appartenenti alla famiglia dei Retroviridae sono andati a costituire l’8% circa del nostro patrimonio genomico (10) integrandosi nella linea germinale dell’uomo con un processo di endogenizzazione che li ha fatti diventare retrovirus endogeni umani (HERVs) (11).
Un simile destino hanno avuto anche gli Hbv, i parvovirus e gli adenovirus (12) ai quali risulta positiva la maggior parte della popolazione, ma essendo naturalmente difettosi non si sono integrati con il genoma umano (13). Altrettanto ancestrali sono anche l’herpesvirus e i papillomavirus, ma solo gli HERV sono correlati a malattie di rilievo come quella di Alzheimer, la demenza frontotemporale, le demenze in genere e la senescenza (14), come pure sclerosi multipla o SLA.
È stato osservato nel topo che la loro attivazione è connessa ad alterazioni dell’apprendimento a livello dell’ippocampo (15).
Classificati in base al tipo di sequenza nelle quattro classi H, K, L e W, cioè epsilon-retrovirus, gamma-retrovirus, beta-retrovirus, spuma-retrovirus ecc. (16), oltre che nello sviluppo di numerose malattie sono coinvolti in varie funzioni fisiologiche e non.
Nella carcinogenesi agiscono ad esempio come enhancer e promotori dell’espressione genica dell’ospite (BRCA 1 e 2, CCND1 ecc.) e di alterazione del sistema immunitario (17).
Nell’AD l’espressione HERV neuronale si correla ad attivazione della microglia che può andare incontro a neuroinfiammazione con aumento delle sostanze proinfiammatorie, eliminazione degli aggregati proteici e della potatura sinaptica (18).
La patologia tau sembra attivare la trascrizione HERV inducendo rilassamento strutturale della cromatina, rotture del DNA e alterazioni nella trascrizione dei geni che possono attivare i TE (gli elementi trasponibili dei trasposoni HERV) provocando neurodegenerazione.
Studi sulla Drosophila melanogaster, il comune moscerino della frutta, hanno indicato che la tau attiva i retrotrasposoni attraverso rilassamento dell’eterocromatina, mentre la formazione di neurofilamenti è accentuata dall’HERV-Fc1, un retrovirus della famiglia H/F già noto per la sua associazione con la sclerosi multipla.
Nel modello murino la correlazione con la patologia tau è indicata dall’aumento delle proteine e del DNA dei trasposoni e dall’attivazione degli elementi trasponibili con conseguente neuroinfiammazione.
Meccanismi epigenetici e fenomeni di disregolazione
In pazienti AD gli HERV si attivano con un meccanismo mediato dal rilassamento epigenetico dell’eterocromatina. Risultano anche correlati ai livelli di tau, ma non a quelli di betamiloide. Ai disturbi neurodegenerativi sarebbe applicabile un meccanismo di feedback tra l’espressione dei retrovirus e la diffusione intercellulare della proteina TDP-43 (19).
La pTau provoca aneuploidia, iperploidia e mosaicismo, condizioni tipiche di malattie neurodegenerative come l’Alzheimer (20). Inoltre, altera il genoma e l’integrina αV/β1 (21), trasformando gli astrociti trofici in neurotossici (22).
L’impatto degli HERV sullo sviluppo dell’AD e di altre malattie neurodegenerative è comunque multifattoriale. Sebbene l’espressione di questi retrovirus sia strettamente regolata dal genoma ospite, molti fattori endogeni ed esogeni possono innescarne l’attivazione.
Un recente studio polacco (23) indica che lo sviluppo dei meccanismi neurodegenerativi è correlato alla disregolazione degli HERV, fenomeno che può essere innescato dall’infiammazione di piccole aree cerebrali, da traumi cerebrali, da infezioni virali ecc.
L’attivazione invece cronica di tali virus in soggetti geneticamente predisposti può causare neurodegenerazione progressiva, che poi si associa a deterioramento cognitivo e demenza.
Nel modello murino di AD sporadico da streptozocina la sovraregolazione di ERV-K si associa a compromissione transitoria della memoria per la paura e dell’apprendimento spaziale (24).
Nei pazienti con SM, il livello di espressione di HERV-W a livello corticale si correla alla gravità della disabilità e alla progressione della malattia.
Secondo gli autori polacchi le malattie neurodegenerative con più certezza correlate all’attività anomala degli HERV sono comunque la sclerosi multipla e la sclerosi laterale amiotrofica.
Nel focalizzarsi sulla correlazione tra HERV e patogenesi della malattia di Alzheimer lo studio prospetta anche la possibilità di utilizzare questi virus come strumenti terapeutici riducendo la neuroinfiammazione loro associata.
Future terapie
Con l’avvento degli anticorpi monoclonali è stata sperimentata nella sclerosi multipla la nuova opzione terapeutica con l’anticorpo GNbAC1 rivolto contro una proteina Env degli HERV-W (25), ma per ora non ha fornito risultati univoci.
Quanto emerso dallo studio americano da cui siamo partiti, un’ampia review di 24 anni su oltre 72mila soggetti, potrebbe invece fornire un valido razionale per l’impiego nell’AD di inibitori dell’inflammosoma come gli NRTI.
Bibliografia
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