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Atassia di Friedreich: una rara malattia ereditaria che richiede maggiore consapevolezza clinica

L’Atassia di Friedreich (AF) è la forma più comune di atassia ereditaria, rappresentando circa la metà dei casi.

È una malattia genetica rara, trasmessa in modo autosomico recessivo, causata da mutazioni nel gene della fratassina.

Si tratta di un disturbo multisistemico che colpisce principalmente il sistema nervoso ma coinvolge anche quello muscolo-scheletrico, cardiaco ed endocrino, con un impatto importante sulla qualità e sull’aspettativa di vita.

L’esordio avviene in genere durante l’infanzia o la prima adolescenza, tra i 5 e i 15 anni. I primi sintomi includono perdita di coordinazione, andatura instabile (atassica), debolezza muscolare e affaticamento. Progressivamente, peggiorano le capacità motorie fini e la deambulazione, fino alla perdita dell’autonomia.

Spesso, entro 10-20 anni dalla diagnosi, è necessario ricorrere ad una sedia a rotelle.

Il quadro neurologico è complesso: sono coinvolte le vie sensitive profonde, le connessioni cerebellari e le vie motorie, con conseguente perdita di sensibilità, debolezza, a volte spasticità e compromissione della coordinazione oculare.

Possono comparire movimenti oculari involontari (saccadi, nistagmo), difficoltà visive e uditive, disartria, disfagia e, nelle fasi avanzate, incontinenza.

Non mancano manifestazioni sistemiche come diabete, scoliosi e, soprattutto, gravi complicanze cardiache, che interessano circa il 60% dei pazienti e rappresentano la principale causa di morte. Le più frequenti sono insufficienza cardiaca e aritmie, con un’età media al decesso di circa 36-37 anni.

La prognosi è peggiore nei casi ad esordio molto precoce e con grave coinvolgimento cardiaco.

In Italia, la prevalenza stimata varia tra 0,99 e 2,1 casi ogni 100.000 abitanti. L’incidenza ridotta non ne diminuisce la rilevanza clinica: le sue manifestazioni, così pervasive e invalidanti, la rendono una sfida significativa sul piano medico, sociale e culturale.

La diagnosi è clinica e genetica ma richiede un’attenta valutazione dei sintomi iniziali. È fondamentale che neurologi e clinici riconoscano i segni precoci – instabilità motoria, perdita dei riflessi, difficoltà nel linguaggio – e attivino approfondimenti mirati. Un approccio precoce e multidisciplinare può migliorare la qualità della vita e rallentare il decorso della malattia.

In un contesto nel quale la rarità può portare a ritardi diagnostici, la conoscenza resta il primo strumento per intervenire in modo tempestivo.

con il contributo di Biogen

Redazione

articolo a cura della redazione