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laboratorio farmaci

Natalizumab nel percorso terapeutico della SMRR

Presentati al 54° Congresso nazionale della Società Italiana di Neurologia i primi dati real life sull’impiego del biosimilare

L’epidemiologia della sclerosi multipla (SM), stando ai dati, è in crescita, ed in parallelo cresce l’esigenza di assicurare a tutti i pazienti un più ampio accesso alle terapie più adeguate, per migliorarne la qualità di vita. Una spinta in questa direzione è venuta recentemente dall’approvazione del primo biosimilare di natalizumab, anticorpo monoclonale indicato per i pazienti adulti con SM relapsing- remitting (SMRR).

Di questa nuova opportunità di trattamento si è parlato nel corso di una lettura realizzata in collaborazione con Sandoz, che si è tenuta durante l’ultimo Congresso nazionale SIN di Roma (9-12 novembre), in cui il Prof. Diego Centonze, ordinario di Neurologia presso l’Università di Roma Tor Vergata, ha ripercorso le tappe storiche del trattamento con natalizumab focalizzandosi sulle strategie per ridurre il fenomeno del rebound associato alla sospensione di diversi trattamenti per la sclerosi multipla, riattualizzandole alla luce della disponibilità di natalizumab biosimilare.

Grazie alle evidenze dai trial clinici accumulatesi nel corso degli anni, la gestione del paziente in terapia con natalizumab è oggi meglio conosciuta e definita.

Uno degli aspetti più critici del trattamento prolungato con natalizumab è l’aumentato rischio per il paziente di sviluppare leucoencefalopatia multifocale progressiva (PML), una devastante malattia del sistema nervoso centrale che può anche risultare fatale. Bisogna tornare indietro negli anni, al lontano 2005 quando furono osservati i primi casi di PML in pazienti in terapia con natalizumab. A seguito della dimostrazione che la PML rappresenta una complicanza del trattamento, a partire dal 2009 in molti pazienti la terapia è stata interrotta. Ed è in quel contesto che sono comparsi i primi casi di riattivazione della malattia. In particolare è stato osservato che la SM può riprendere con manifestazioni, cliniche e soprattutto radiologiche, che sopravanzano quelle che sono attese in base all’aggressività della malattia prima del trattamento. Questi fenomeni paradossali ovvero di rebound in realtà riguardavano, seppure più di rado, anche soggetti in terapia con altre molecole (teriflunomide, dimetilfumarato), ma sono stati maggiormente studiati e analizzati in associazione a natalizumab e fingolimod. Oggi è noto che il rebound in genere si verifica entro 2-3 mesi dalla sospensione del trattamento con natalizumab.

Quali strategie dunque possono essere adottate per mitigare questo rischio di riattivazione? Nel corso degli anni sono stati fatti diversi i tentativi, con molecole differenti anche usate in combinazione; un percorso non privo di difficoltà dal momento che spesso l’impiego dei trattamenti disponibili si è mostrato infruttuoso. Ad esempio, lo switch a interferone beta e glatiramer acetato non ha prodotto i risultati sperati. Inoltre, il tentativo di potenziare gli effetti del glatiramer acetato mediante l’uso di boli di steroidi non ha attenuato, ma in alcuni casi ha addirittura accentuato il fenomeno del rebound. D’altro canto, fingolimod si è rivelato una promettente alternativa per il passaggio, a condizione che il periodo di interruzione(wash out) fosse inferiore a 3 mesi.

Un cambio di passo nella strategia di switch è segnato dalla disponibilità dei farmaci anti-CD20 molecole ad alta efficacia (rituximab, ocrelizumab, alemtuzumab) che oggi sono ritenute le migliori opzioni per controllare il rebound nel caso sia necessario sospendere la terapia con natalizumab.

Con la disponibilità e rimborsabilità di natalizumab biosimilare a partire dal 15 gennaio di ques’anno, si presenta ora la possibilità di un altro switch, ovvero da farmaco originatore a biosimilare, e anche in questo caso è importante conoscere gli effetti del passaggio in modo da poter essere sicuri di ottenere un buon controllo di malattia nei pazienti. Ci vengono in aiuto, in questo senso, i primi dati real life raccolti ad hoc per il Congresso SIN, relativi a una casistica di 3 Centri sul territorio nazionale (Neuromed di Pozzilli, AOU Careggi di Firenze, AO di Cuneo).

I dati presentati dal Prof. Centonze sono relativi a 200 pazienti in terapia con natalizumab originatore, che sono passati a natalizumab biosimilare a partire dal 28 maggio scorso. Di fatto quindi la terapia ha superato i 3 mesi, che rappresentano la finestra critica in cui si potrebbe verificare qualche fenomeno di rebound. I pazienti presentano le caratteristiche tipiche della sclerosi multipla: sono in prevalenza donne con un’età media di 38 anni e una durata della malattia di 5,7 anni. La maggior parte dei pazienti è risultata negativa al test di stratificazione del rischio per la PML. Lo switch al natalizumab biosimilare è avvenuto dopo circa 3,8 anni di terapia con il farmaco originatore I pazienti hanno proseguito il proprio schema di trattamento già in atto, ovvero standard (natalizumab ev ogni 4 settimane, 44% dei pazienti) ed “extended interval dosing” (EID natalizumab ogni 6 settimane, 56% dei pazienti). La modalità EID si è mostrata efficace e sicura, in grado di prevenire il rischio di PML ed è utilizzata attualmente in molti centri prescrittori.

I dati raccolti fino a questo momento nella real life evidenziano come ci sia stata un’efficace e morbida transizione verso il biosimilare: natalizumab biosimilare è stato in grado di garantire un perfetto controllo della SM relapsing, con assenza di casi di riattivazione, di ricadute o di fenomeni da segnalare. Si è manifestato un solo caso di eruzione orticarioide, che comunque si è rapidamente risolto.

Come sottolineato nelle riflessioni conclusive dai due moderatori della lettura, la Prof.ssa Maria Pia Amato, dell’Università di Firenze e il Prof. Marco Alfonso Capobianco, dell’AO S. Croce e Carle di Cuneo, questi dati ci aiutano ad acquisire una maggiore confidenza nell’utilizzo del biosimilare di natalizumab, delineandolo come risorsa importante per garantire equità di accesso alle cure adeguate a un maggiore numero di pazienti e sostenibilità per il Sistema Sanitario Nazionale.

Anastassia Zahova

Giornalista medico scientifico