Il ruolo degli stili di vita nella demenza frontotemporale familiare
L’attività fisica e cognitiva è associata a un minor declino cognitivo
Uno stile di vita fisicamente e mentalmente attivo può proteggere dalla demenza frontotemporale anche le persone a rischio genetico accertato. È questo il risultato emerso da uno studio pubblicato su “Alzheimer’s & Dementia” da Kaitlin Casaletto e colleghi dell’Università della California a San Francisco.
La ricerca ha indagato per la prima volta in che modo le attività fisiche e cognitive sono correlate con la salute del cervello nella forma autosomica dominante della degenerazione del lobo frontotemporale. L’analisi ha incluso 105 portatori di mutazioni a carico dei geni C9orf72, MAPT, GRN e 69 non portatori. Tutti sono stati valutati longitudinalmente con test neurocomportamentali e scansioni di risonanza magnetica cerebrale.
L’analisi statistica dei dati raccolti ha rivelato che, tra i portatori di geni dominanti, un più elevato livello di attività fisica e intellettiva era associato a un declino clinico stimato del 55% più lento all’anno. Anche nei portatori di mutazione si è osservata un’interazione tra le attività del tempo libero, atrofia frontotemporale e cognizione. Rispetto ai coetanei meno attivi con tassi di atrofia comparabili, i portatori ad alta attività fisico-intellettiva con atrofia frontotemporale hanno prestazioni cognitive nettamente migliori.
“I nostri sono tra i primi dati a supporto di un ruolo potenzialmente protettivo dei comportamenti dello stile di vita nella degenerazione frontotemporale – scrivono i ricercatori nell’articolo – In assenza di interventi farmacologici, questi risultati sottolineano la necessità di studiare tali fattori ambientali per tutto lo spettro neurodegenerativo. I comportamenti nello stile di vita possono essere un fattore che contribuisce all’insorgenza clinica e alle traiettorie fortemente variabili osservate nelle forme genetiche di degenerazione frontotemporale”.