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Alcol

L’alcol a basse dosi stimola il sistema glinfatico, ad alte dosi lo inibisce

Il sistema di pulizia dei detriti cellulari del cervello, scoperto pochi anni fa e chiamato sistema glinfatico per la sua correlazione con le cellule gliali di sostegno del sistema nervoso, è parente stretto del sistema linfatico che si occupa di tutto il resto del corpo al di fuori del sistema nervoso centrale che fino al 2015 era ritenuto privo di un sistema di drenaggio per cataboliti e proteine di scarto.

Dalla prima pubblicazione di 3 anni fa su Neurochemichal Research di Maiken Nedergaard del Center for Basic and Translational Neuroscience dell’Università di Copenhagen si è capito che il sistema glinfatico è più attivo durante il sonno che forse deve la sua fisiologica inderogabilità proprio al bisogno di questa attività di pulizia cerebrale glinfatica quotidiana.

Ma anche in stato di veglia l’azione di questo sistema spazzino sarebbe importante nelle patologie neurodegenerative come Parkinson o Alzheimer dove ripulirebbe rispettivamente alfa-sinucleina e amiloide, oppure nei traumi cerebrali e nell’invecchiamento dove si occuperebbe dei cataboliti cellulari.

Esce ora, su Nature Sci. Reports un altro studio della Nedergaard, realizzato con il contributo delle Università Huazhong di Wuhan in Cina e di Rochester in USA , che indica come l’alcol sia in grado di influenzare l’attività del glinfatico, incentivandola o inibendola a seconda della quantità assunta, riscontro che fornirebbe una giustificazione scientifica al noto proverbio toscano “Un po’ di vino lo stomaco assesta, il troppo vin offende stomaco e testa”.

Se l’assunzione cronica di alcol induce notoriamente compromissione cognitiva e neurotrasmettitoriale con consegue atrofia cerebrale pari al 10 per cento del volume e aumentato rischio di sviluppare malattia di Alzheimer o Parkinson, piccole quantità di alcol risultano avere un effetto positivo, ottenendo addirittura una riduzione del rischio di demenza delineando un chiaro andamento a gaussiana.

Secondo gli Autori dello studio appena pubblicato ciò sarebbe spiegabile con le variazioni di funzionamento indotte dall’alcol sul glinfatico: la cronica esposizione a basse dosi (0,5 g/Kg die corrispondenti a 2,6 g/die per un soggetto di 70 Kg) ne incrementa l’attività, mentre la inibisce quella ad alte dosi (1,5 g/Kg die equivalenti alla dose assunta dall’uomo con binge drinking).

Non si tratterebbe comunque di un semplice effetto di dose dipendenza, bensì di un meccanismo neuroinfiammatorio immuno-mediato con downregulation di numerose citokine fra cui la IL-12, coinvolta tramite microglia e/o astrociti.

Un altro fattore è stato recentemente proposto come capace di alterare il funzionamento del glinfatico: al congresso SISC-EHF 2017 di Roma (1-3 dicembre, The Journal of Headache & Pain) Rami Burstein della Harvard Medical School di Boston ha avanzato l’ipotesi che tale sistema venga alterato anche dalla spreading depression, la depolarizzazione elettrica che si verifica nell’attacco emicranico e che manderebbe in tilt la sua funzione di drenaggio cerebrale impedendogli di eliminare eventuali microtrombi riscontrabili soprattutto nelle pazienti che fumano, prendono la pillola o terapia ormonale sostitutiva e hanno particolari disturbi coagulativi, esponendole così ad un maggior rischio di ictus.

Alessandro Visca

Giornalista specializzato in editoria medico­­­­-scientifica, editor, formatore.