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Le reti neurali che bloccano anche la gioia del Natale

Da un paio d’anni il DSM-5-TR (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, 5th Edition, Text Revision) (1) ha riconosciuto l’entità definita PG, il cosiddetto lutto prolungato (Prolonged Grief) come quella condizione in cui i sintomi dolorosi per la perdita di una persona affettivamente significativa durano oltre 1 anno dalla sua scomparsa con l’intrusione di pensieri depressivi legati al suo ricordo secondo modalità simili a quelle del PTSD, il disturbo post-traumatico da stress (2).

Peraltro fra i criteri di aumentato rischio di PG rientrano situazioni che hanno molti addentellati con il PTSD , per esempio morte della persona cara in circostanze traumatiche come un incidente, un attentato, un assassinio o in situazioni imprevedibili e gravi come un tumore in un adolescente, un figlio o un nipote.

Anche la risposta personale al PG ha molti addentellati con quella che si verifica nei confronti del PTSD: anche in questo caso infatti sono i soggetti meno resilienti ad esserne più colpiti (3).

Anedonia

Oltre alla risposta allo stress un altro aspetto da considerare nella depressione è uno dei suoi principali sintomi e cioè l’anedonia, che consiste nell’indifferenza a stimoli sia piacevoli che spiacevoli come ad esempio la vincita o la perdita al gioco, un aspetto che verosimilmente ritroviamo anche nel PG.

L’anedonia induce incapacità, totale o parziale, di provare reward, cioè soddisfazione, appagamento o piacere per le consuete attività piacevoli (4).

Due anni fa hanno cercato di interpretarne le basi neurobiologiche alcuni ricercatori dell’Università di Francoforte che sul Journal of Psychiatry & Neuroscience (5) hanno indicato come l’anedonia sarebbe legata a una ridotta risposta neurale agli stimoli esterni, verosimilmente a causa dell’amotivazione connessa ai processi di elaborazione della perdita, una perdita che nel PG è ancor più forte e persistente.

Quali reti neurali

Un altro studio su modello sperimentale appena pubblicato da ricercatori della California e della Columbia University su Nature (6) ha identificato nell’area ventrale CA1 dell’ippocampo e nell’amigdala basolaterale del topo gli hot spot della rete neurale dell’anedonia che si attivano nei topi sottoposti a stress che non vanno più a cercare l’acqua zuccherata, ma bevono indifferentemente acqua normale perché perdono il craving per il reward (7).

Tale comportamento si osserva solo nei topi meno resilienti che vanno incontro a ritiro sociale e anedonia evidenziando un comportamento simile alla ruminazione umana che dal punto di vista elettrofisiologico ha dimostrato nei topi un’attivazione dell’amigdala che si traduceva nell’incertezza fra una ricompensa già provata (acqua zuccherata) o l’idea di usare l’abbeveratoio con acqua normale.

La modulazione degli input vCA1-BLA può migliorare la resilienza dei soggetti anedonici regolando le dinamiche neurali disfunzionali che sono alla base delle differenze individuali nella risposta allo stress traumatico.

Parafrasando in chiave natalizia tutto questo nell’uomo il titolo dell’ultimo studio di Nature “Stress can dull our capacity for joy” si potrebbe interpretare come: un grave stress come quello da PG può generare un’anedonia che toglie pure il gusto di una fetta di panettone che cessa di essere percepita come reward

Bibliografia

 

  1. https://psychiatryonline.org/dsm
  2. https://journals.sagepub.com/doi/full/10.1177/00048674211025728
  3. https://doi.org/10.1080/15524256.2020.1745726
  4. https://www.healthline.com/health/depression/anhedonia#diagnosis
  5. https://www.jpn.ca/content/47/4/E284
  6. https://www.nature.com/articles/s41586-024-08241-y
  7. https://www.frontiersin.org/journals/neural-circuits/articles/10.3389/fncir.2017.00086/full

 

Cesare Peccarisi

Responsabile della Comunicazione Scientifica della Società Italiana di Neurologia