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Tutte le stagioni del cervello protagoniste della Brain Week 2022

A cura di Cesare Peccarisi

Dal 14 al 20 marzo ritorna in tutto il mondo la Brain Week, la settimana del cervello. In collaborazione con la Dana Foundation che la gestisce a livello internazionale, la Società Italiana di Neurologia (SIN) ha predisposto come ogni anno occasioni d’incontro pubblico sia online che dal vivo dove i centri neurologici aderenti all’iniziativa si metteranno a disposizione dei pazienti e della popolazione generale per approfondimenti preordinati online e dal vivo.

Per un elenco aggiornato fare riferimento al sito della SIN a questo link.

Il tema scelto quest’anno sono le malattie neurologiche nell’arco della vita seguendo le diverse patologie che caratterizzano le varie età e le manifestazioni differenti che la stessa malattia assume a seconda dell’età. Un esempio classico è l’ictus che cambia a seconda dell’età d’insorgenza: oltre alla 7° decade di vita, periodo di sua più frequente presentazione, può infatti esordire anche a 40 anni. L’ictus giovanile è peraltro in crescita a causa dei sempre più diffusi comportamenti d’abuso (alcol e fumo), nonché per il crescente sovrappeso fra i giovani dovuto alle cattive abitudini alimentari.

Durante la presentazione della Brain Week il professor Mauro Silvestrini, Preside della Facoltà di medicina dell’Università delle Marche ha presentato una storica foto che potrebbe diventare l’emblema di questa malattia: i tre grandi del trattato di Yalta del ’45.

Da sinistra a destra: Winston Churchill, Franklin Delano Roosevelt e Iosif Stalin.

Tutti e tre morirono di ictus. L’americano Roosevelt, allora 63enne, fu colpito da ictus pochi mesi dopo e pare abbia avuto un primo episodio proprio a quell’incontro: il fatto che tenga un braccio inerte appoggiato sulla gamba potrebbe esserne la prova. Churchill ne fu colpito vent’anni dopo, a 91 anni e Stalin 8 anni dopo a 71. Il più giovane, Roosevelt, fu colpito da ictus emorragico, mentre gli altri due da un ictus ischemico.

Qualunque sia il tipo di ictus vale comunque sempre la stessa regola: time is brain; appena compaiono i primi sintomi scattano le cosiddette golden hours in cui i minuti sono d’oro e non bisogna perderne nessuno.

Se insorgono difficoltà ad articolare le parole o a comprenderle, associate a improvviso intorpidimento o debolezza dei muscoli del volto, del braccio o della gamba di un solo lato, offuscamento mentale e visivo, spesso da un occhio solo, occorre recarsi con urgenza in una Stroke Unit. Gli anglosassoni hanno dato a questa modalità d’intervento la sigla FAST parola che significa veloce e porta con sé l’idea di correre in PS ed essere avviati a una Stroke Unit per un trattamento di trombolisi che, se effettuato entro un certo limite di tempo, è l’unico in grado di evitare gravi sequele e in molti casi di salvare la vita del paziente.

Nella sigla FAST sono riassunti tutti i concetti di questa urgenza neurologica perché l’acronimo nasce da Face, cioè faccia, Arm cioè braccio, Speech cioè eloquio e Time cioè tempo.

La foto di Yalta presentata ha poi un altro indizio importante perché in questa malattia l’abitudine al fumo è un fattore di rischio fondamentale: due fumano, Churchill il sigaro e Roosevelt la sigaretta, Stalin era un noto fumatore di pipa, anche se in quell’occasione non l’aveva accesa.

Per ironia della sorte in un’altra importante malattia neurologica come il Parkinson il fumo ha invece un effetto protettivo.Ciò non significa che bisogna mettersi a fumare per non ammalarsi, ma solo che si è notato che chi fuma moderatamente ha un minor rischio di ammalarsi di Parkinson. Si tratta di una correlazione indipendente nel senso che chi è portato a fumare pare anche essere meno portato a sviluppare la malattia del tremore.

Quindi non è il fumo che preserva il cervello dalla malattia, ma il fatto che qualcuno nasce con un certo tipo di sistema dopaminergico che se da un lato lo porta a fumare, dall’altro lo porta anche a non ammalarsi di Parkinson.

Anche se questi soggetti non fumassero avrebbero verosimilmente un rischio di malattia comunque basso. Non si tratta quindi di un processo retroattivo e peraltro l’abitudine al fumo è solo una delle tante componenti che intervengono in questa malattia.

Se nel rischio di ictus giocano soprattutto fattori idromeccanici e di coagulabilità diversi fra giovani e anziani, nel Parkinson entrano in gioco fattori di tipo genetico, tossico-ambientale (ad esempio l’esposizione ai pesticidi), ormonale e anche alimentare la cui variabilità rispetto all’età è ben più complessa.

Malattia di Parkinson

Dopo la malattia di Alzheimer quella di Parkinson è la patologia neurodegenerativa più diffusa che in Italia interessa circa mezzo milione di persone. Occorre però considerare che la sua classica età d’esordio (58-60 anni) o come si dice la sua fenoconversione, deriva da un tiro alla fune fra questi fattori patogeni e le capacità neuroplastiche protettive del cervello associate a fattori di protezione come il fumo o l’assunzione di caffè.

Questo gioco delle parti può anche portare a un esordio anticipato o ritardato della malattia. Ci sono infatti forme geneticamente progettate per esordire dopo gli 85 anni (3-5% dei casi) e altre che esordiscono prima, il cosiddetto Parkinson giovanile che colpisce attorno ai 40 anni (5% dei casi).

Il Professor Alfredo Berardelli  (nella foto) dell’Università La Sapienza di Roma e Presidente della SIN, spiega:

“Occorre sempre tenere presente la straordinaria capacità di adattamento del sistema nervoso –spiega . Diversamente da quanto si credeva in passato la neuroplasticità si mantiene anche in età avanzata e quindi è utile tenere allenati la mente e il corpo anche in tarda età. Aiutare la nostra neuroplasticità soprattutto con corretti stili di vita come l’esercizio sia fisico che psichico e con una corretta alimentazione, può contrastare e rallentare anche le malattie neurodegenerative notoriamente associate alla vecchiaia. Nel Parkinson con l’età si verificano in tutti fenomeni di degenerazione dei sistemi dopaminergici Ma perché non tutti si ammalano? Perché il nostro fisiologico deterioramento può essere sia rallentato che accelerato da fattori che aumentano il rischio oppure che fungono da protezione”.

La malattia di Parkinson ha notoriamente 3 sintomi cardinali: bradicinesia, rigidità e tremore associati a instabilità posturale e in misura variabile ad altri segni non motori cognitivi, comportamentali (depressione), sensoriali (calo olfatto) ecc.

Soprattutto se non altrimenti giustificabili vanno però attenzionati pure altri segni, anche quando ancora non è comparsa la classica triade sintomatologica, che sono:

  • stipsi ostinata persistente per oltre 2 anni
  • iperidrosi
  • sonno agitato (sindrome gambe senza riposo)
  • dispepsia
  • ipotensione ortostatica
  • deficit delle funzioni esecutive
  • un segno minore è la micrografia.

Molti di questi sintomi arrivano ben prima dell’esordio della malattia e al 68° Annual Meeting dell’AAN i ricercatori dell’Erasmus University Medical Center hanno stilato una sorta di calendario prodromico della malattia utilizzando marker non strumentali di previsione clinica annuale della malattia:

  • 6 ANNI PRIMA della diagnosi di malattia di Parkinson i pazienti iniziano a riferire maggiori problemi rispetto alle persone normali nelle attività quotidiane (daily activities) soprattutto in quelle in cui devono svolgere uno specifico compito che coinvolge attività sia motorie sia non motorie (instrumental activities) come ad esempio spostarsi e viaggiare.
  • FRA 6 E 5 ANNI PRIMA compaiono i primi segni di ipocinesia, bradicinesia o tremore.
  • 3 ANNI PRIMA circa, questi problemi si estendono ad attività di base quotidiane come alimentarsi
  • POCHI ANNI PRIMA compaiono rigidità e alterazioni posturali e i pazienti presentano punteggi significativamente inferiori alla media alla Mini-Mental State Examination.
  • NEGLI ULTIMI ANNI iniziano a usare lassativi molto più frequentemente della media.
  • L’ANNO PRIMA della diagnosi presentano più sintomi ansiosi e depressivi della media.
Cesare Peccarisi

Responsabile della Comunicazione Scientifica della Società Italiana di Neurologia