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Neuroscienze, individuata nel cervello una piattaforma musicale

Neuroscienziati dell’Università di Washington hanno individuato una sotto-regione del cervello che ha una funzione simile a quella di una piattaforma musicale, dove tutti i suoni elaborati dalle altre aree “musicali” depositano i brani per un periodo variabile di tempo. Per lo studio è stato utilizzato uno dei brani più famosi dei Pink Floyd.

a cura di Cesare Peccarisi

Nel 2020 Google ha chiuso il suo servizio per ascoltare musica in streaming e oggi per sentire i propri brani preferiti bisogna cercare altrove. Ma uno studio recentemente pubblicato su PLOS Biology dai neuroscienziati dell’Università di Washington (USA), diretti da Ludovic Bellier, ha dimostrato che la miglior piattaforma musicale probabilmente ce l’abbiamo noi, nella circonvoluzione o giro temporale superiore destro del cervello, appena sopra e dietro l’orecchio.

I ricercatori hanno individuato una sotto-regione che risulta sintonizzata sul ritmo secondo una risposta antero-posteriore ai suoni, un po’ come se ci fosse un pentagramma su cui il cervello scrive le note, disponendole dall’avanti all’indietro invece che dal basso verso l’alto come si fa sugli spartiti dei musicisti.

Streaming cerebrale

Una volta capito come viene processata e archiviata la musica in quest’area, già nota per la sua competenza agli stimoli sonori in genere, dalla voce ai rumori del traffico, i ricercatori americani hanno scoperto che con un adeguato collegamento a un sistema computerizzato se ne possono ricavare in streaming on demand i brani depositati, che risultano pressoché indistinguibili da quelli che possiamo ascoltare da un vinile o da una piattaforma digitale in rete.

Lo studio rappresenta il culmine di un filone di ricerca sviluppatosi negli ultimi vent’anni, che ha portato alla comprensione delle basi neurali della percezione musicale, con l’identificazione delle aree adibite all’elaborazione dei vari elementi del suono: dal timbro, all’altezza, alla melodia, all’armonia, al ritmo ecc.

Si è visto che esiste un’ampia rete di aree corticali e sottocorticali che elaborano la musica, fra cui soprattutto la corteccia uditiva primaria e secondaria, le aree sensorimotorie e la circonvoluzione frontale inferiore.

La circonvoluzione temporale destra sarebbe una sorta di piattaforma musicale neuro-digitale dove tutti i suoni elaborati dalle altre aree “musicali” depositano i brani per un periodo variabile di tempo, che è influenzato da fattori emotivi legati a un certo brano oppure semplicemente dalla frequenza della stimolazione musicale cui siamo stati più spesso esposti.

Il contributo dei Pink Floyd alla scoperta

Per il loro studio i ricercatori di Washington hanno scelto la prima parte di “Another brick in the wall”, brano dei Pink Floyd, tratto dall’album The Wall, che portò il gruppo musicale inglese in cima alle classifiche nel 1979. Come spiega il neuroscienziato cognitivo Ludovic Bellier:

La ragione ‘scientifica’ di questa scelta è che si tratta di una canzone con un ritmo guida incalzante e stratificata con ampie melodie dove strumenti diversi e ritmi diversi aggiungono accordi complessi, rendendola un interessante modello musicale adatto all’analisi che volevamo effettuare. Una ragione meno scientifica potrebbe essere che i Pink Floyd ci piacciono davvero e le loro canzoni ci restano in mente”.
Lo studio è stato condotto su 29 pazienti a cui prima era stata fatta riascoltare la canzone. Tramite stereo-elettroencefalografia profonda, una tecnica usata anche nell’epilessia, dove si posizionano gli elettrodi in aree più profonde ed estese del cervello rispetto a quelle raggiungibili da un normale elettroencefalogramma (347 elettrodi invece dei consueti 21), è stata poi effettuata una registrazione dell’attività neuronale molto più diretta e precisa mentre ripensavano alla canzone.

Collegando la registrazione elettrica a un sistema di intelligenza artificiale questo ha combinato le analisi di codifica e decodifica degli impulsi, che venivano poi avviati a un duplice sistema di interfaccia cervello-computer che è riuscito a ricostruire la canzone così bene che l’altezza e il timbro dei suoni risultavano sensibilmente migliorati e nelle parti con chitarra ritmica si percepiva anche un senso di maggiore armonia rispetto all’originale.

L’80% della massima precisione di decodifica è stata raggiunta in 37 secondi per set di dati relativamente piccoli come piccole parti del brano musicale.

I risvolti clinici

L’importanza dello studio, oltre a farci immaginare che un giorno potremmo fare a meno di YouTube Music per riascoltare un brano, apre nuovi orizzonti clinici perché è stata individuata l’organizzazione anatomo-funzionale di aree che possono tornare utili ai pazienti con disturbi dell’elaborazione uditiva.

Questi risultati possono infatti contribuire allo sviluppo di un decodificatore uditivo generale capace di interpretare anche gli elementi “musicali” del linguaggio cosiddetti prosodici come accento, intonazione, fonemi dialettali ecc, che questi pazienti non sanno interpretare e che sono elaborati proprio da quella sotto-regione del giro temporale superiore destro per il ritmo musicale individuata dai ricercatori americani.

Cesare Peccarisi

Responsabile della Comunicazione Scientifica della Società Italiana di Neurologia