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cervello ricerca

Dopamina, α‑sinucleina, monoamino ossidasi e geni nei mitocondri della malattia di Parkinson

Le complesse interazioni tra i diversi fattori patogeni associati a questa condizione svolgono un ruolo decisivo nella neurodegenerazione e devono essere ulteriormente definite per sviluppare nuove terapie

Seconda tra le malattie neurodegenerative più comuni, il Parkinson possiede due caratteristiche patologiche tipiche: la perdita progressiva di neuroni dopaminergici nella pars compacta della substantia nigra e l’accumulo di corpi di Lewy e neuriti di Lewy contenenti una forma modificata di alfa‑sinucleina.

Attualmente, il modello patogenetico della malattia di Parkinson prevede una disfunzione di diversi sistemi neurotrasmettitoriali causata da molteplici fattori genetici e ambientali. Tra i fattori patogeni, si annoverano lo stress ossidativo, la disfunzione mitocondriale, l’accumulo di alfa-sinucleina, la morte cellulare programmata, l’alterazione dei sistemi proteolitici, la neuroinfiammazione e il declino dei fattori neurotrofici.

In questo quadro, è di estremo interesse indagare le possibili interazioni tra dopamina, alfa-sinucleina, monoamino ossidasi, i suoi inibitori e i geni correlati nei mitocondri, interazioni oggetto di un recente studio condotto da Makoto Naoi, dell’Università di Aichi Gakuin, in Giappone, e colleghi, illustrato sulle pagine del “Journal of Neural Transmission”.

Il primo dato saliente è che l’alfa‑sinucleina inibisce la sintesi e la funzione della dopamina. Viceversa, l’ossidazione della dopamina da parte della monoamino ossidasi produce aldeidi tossiche, specie reattive dell’ossigeno e chinoni, che modificano l’alfa‑sinucleina e ne promuovono la produzione di fibrille e l’accumulo nei mitocondri. Inoltre, nei modelli sperimentali l’eccesso di dopamina ha mostrato di modificare le proteine della catena di trasporto degli elettroni a livello mitocondriale, inibendone la funzione.

Per quanto riguarda la monoamino ossidasi, la sua espressione e la sua attività vengono modificate dall’alfa‑sinucleina e dai prodotti genici nelle forme familiari della malattia di Parkinson. Inoltre, la monoamino ossidasi di tipo A è associata a neuroprotezione da una dose non specifica di inibitori della monoamino ossidasi di tipo B, rasagilina e selegilina. In studi sperimentali, è emerso che queste ultime agiscono prevenendo l’alfa‑sinucleinizzazione, modulando tale interazione tossica ed esercitando un effetto neuroprotettivo.

In conclusione, nella neurodegenerazione della malattia di Parkinson, le complesse interazioni tra i fattori patogeni svolgono un ruolo decisivo. Per questo, dovrebbero essere ulteriormente indagate nell’ottica di sviluppare nuove terapie per la malattia.

Anastassia Zahova

Giornalista medico scientifico