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neurone filamenti

I livelli di neurofilamento a catena leggera nella prognosi della SM

Nella sclerosi multipla (SM) il livello sierico di neurofilamento a catena leggera (sNfL) è un biomarcatore di danno neuronale utilizzato non solo per monitorare l’attività di malattia e la risposta ai farmaci, ma anche per prognosticare il decorso della malattia a livello di gruppo. L’assenza di valori di riferimento rappresentativi per correggere gli aumenti fisiologici dipendenti dall’età in tale biomarcatore, tuttavia, ne ha limitato l’uso diagnostico a livello individuale.

Le cose però potrebbero presto cambiare, grazie ai risultati di uno studio apparso su “Lancet Neurology” a firma di Pascal Benkert, dell’Università di Basilea, in Svizzera, e colleghi, che hanno valutato la capacità delle misure di sNfL nel predire il rischio di una futura attività di malattia a livello di gruppo e negli individui in due grandi coorti indipendenti di pazienti con SM, messe a confronto con un gruppo di controllo senza evidenze di malattie del sistema nervoso centrale. A questo scopo, Benkert e colleghi hanno modellizzato la distribuzione delle concentrazioni di sNfL in funzione dell’aumento fisiologico legato all’età e della modulazione dipendente dal BMI, in modo da ricavare valori percentili e Z-score da questo database di riferimento.

Gli autori hanno raccolto complessivamente 10.133 campioni di sangue da 5390 soggetti. Oltre a ciò, hanno raccolto 7769 campioni sierici di 1313 pazienti della Swiss MS Cohort (SMSC).

Nel gruppo di controllo, le concentrazioni di sNfL sono aumentate esponenzialmente con l’età e ad un tasso più rapido dopo circa 50 anni di età.

Nelle persone con sclerosi multipla della SMSC, i percentili sNfL e gli Z-score indicavano un rischio gradualmente aumentato per la futura attività acuta (per esempio, ricaduta e formazione di lesioni) e cronica (peggioramento della disabilità) della malattia. Uno Z-score di sNfL superiore a 1,5 è risultato associato a un aumento del rischio di futura attività clinica o evidenza alla risonanza magnetica della malattia in tutte le persone con sclerosi multipla (odds ratio: 3,15; p<0,0001) e nelle persone considerate stabili senza evidenza di attività di malattia (OR: 2,66; p=0,034).

A livello di gruppo, l’andamento longitudinale dei valori di Z-score di sNfL nelle persone con sclerosi multipla del SMSC è diminuito verso quelli visti nel gruppo di controllo con l’uso di anticorpi monoclonali (cioè, alemtuzumab, natalizumab, ocrelizumab, e rituximab) e, in misura minore, di terapie orali (cioè, dimetil fumarato, fingolimod, siponimod, e teriflunomide).

I risultati sono stati pienamente confermati dal confronto con una coorte di validazione (n=4341) dal registro SM svedese.

Folco Claudi

Giornalista medico scientifico