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52° Congresso SIN: qualità della ricerca e progressi nella clinica

I primi risultati delle terapie biologiche nella Malattia di Alzheimer, i progressi nella diagnosi precoce della malattia di Parkinson e i nuovi marker per predire la cronicizzazione del mal di testa a causa dell’abuso di farmaci. Sono solo alcuni dei temi trattati al 52° Congresso nazionale della Società Italiana di Neurologia che si è chiuso a Milano il 6 dicembre.

“Il nostro Paese – ha ricordato Alfredo Berardelli, Presidente della SIN – nonostante i fondi siano limitati, è tra i più attivi nel campo della ricerca scientifica in neurologia e si posiziona al 5° posto a livello mondiale per la produzione di studi.”

La qualità della ricerca e i risultati clinici confermano il ruolo di primo piano dei neurologi italiani sulla scena internazionale e il grande numero dei partecipanti al congresso, con una folta rappresentanza di giovani, fa ben sperare per i futuri sviluppi di una disciplina medica che ha di fronte sfide epocali. Le patologie neurologiche, infatti, sono tra quelle più impattanti sulla popolazione: 12 milioni di italiani sono affetti da disturbi del sonno, oltre 6 milioni soffrono di emicrania e 1 milione di persone convivono  con la Malattia di Alzheimer, per citare solo alcune delle più diffuse malattie neurologiche

Di seguito una panoramica degli argomenti principali presentati nella conferenza stampa dagli specialisti.

Malattia di Parkinson: la prognosi attraverso test salivare

Dal 2018 il gruppo di ricerca de La Sapienza di Roma, guidato dal Professor Alfredo Berardelli, inseguiva la possibilità di individuare in maniera non invasiva un biomarcatore diagnostico precoce della malattia di Parkinson identificando la proteina anomala alfa-sinucleina, prima possibile solo tramite biopsia gastroenterica o della ghiandola salivare, dove sembra si concentri prima di diffondersi al cervello. Recentemente, è stato ottenuto un risultato mai visto prima: tramite il test salivare si ottiene non solo la diagnosi precoce, ma addirittura un indice prognostico, ossia una previsione della progressione della malattia.

I ricercatori romani hanno infatti scoperto che dall’analisi di particolari componenti salivari e dei loro rapporti rispetto alla concentrazione di alfa-sinucleina si può fare una previsione del decorso altamente affidabile. L’alfa-sinucleina oligomerica è il marker d’eccellenza che, con una sensibilità quasi del 100% e una specificità del 98,39%, può distinguere chi è in fase iniziale di malattia da chi non è affetto, con un’accuratezza diagnostica complessiva pari al 99%.

Nuove opportunità terapeutiche nella Malattia di Alzheimer

Come ha spiegato Alessandro Padovani, Direttore della Clinica Neurologica dell’Università di Brescia nelle ultime settimane, il mondo scientifico ha preso atto che la direzione intrapresa con le terapie biologiche dirette nei confronti di alcune forme di amiloide è quella giusta, ma esistono ancora diverse questioni da mettere in chiaro. Infatti, gli ultimi risultati su due nuove molecole quali donanemab e lecanemab indicano che entrambe non solo riducono in tempi ridotti l’accumulo dell’amiloide nel cervello del 60% e l’accumulo di altre proteine correlate alla neurodegenerazione come la Tau, ma che grazie a questo inducono un chiaro rallentamento della progressione clinica. Un rallentamento medio del 30% rispetto a chi non assume la terapia e a chi non mostra un effetto biologico. In attesa di ulteriori conferme, è giusto sottolineare che questi farmaci appaiono efficaci anche in soggetti anziani già affetti da un decadimento cognitivo. Oggetto di grande interesse anche i risultati preliminari di due studi lo SMARRT e il FINGER, che hanno in comune l’adozione di un approccio non farmacologico e mirato alla prevenzione in soggetti adulti e anziani. Entrambi gli studi hanno riportato un effetto clinico significativo sulla incidenza di demenza nella popolazione sottoposta ad un trattamento mirato all’attività fisica, dieta equilibrata, controllo dei fattori di rischio cardiovascolare.

Alzheimer: diagnosi precoce e prevenzione

Camillo Marra, Presidente della SINdem (Associazione autonoma aderente alla SIN per le demenze), ha evidenziato che la diagnosi precoce è la condizione necessaria per l’accesso alle nuove terapie contro l’Alzheimer e deve essere effettuata quando ancora non sono comparsi i sintomi tipici della malattia, nonché quando il disturbo non interferisce sulle capacità e sulla autonomia funzionale. In questa fase in cui il disturbo neurocognitivo è minimo (MCI l’acronimo inglese per identificarla), l’indagine diagnostica necessita di competenze specialistiche molteplici che includono l’investigazione neuropsicologica, lo studio morfologico cerebrale attraverso la RMN cerebrale, lo studio della funzionalità sinaptica e metabolica cerebrale con la PET cerebrale e lo studio di biomarcatori che sono in grado di identificare le proteine associate alla Malattia di Alzheimer dall’analisi del liquor cefalorachidiano. Anche in assenza di terapie curative in grado di modificare l’avanzamento della malattia, la diagnosi precoce è necessaria per attuare, in maniera precoce, terapie preventive che rallentino la progressione della patologia.

Il sonno e le patologie neurologiche

Giuseppe Plazzi, Responsabile Centro del Sonno, IRCCS delle Scienze Neurologiche di Bologna ha ricordato che le scoperte degli ultimi 20 anni dimostrano come lo studio del sonno e del ritmo circadiano abbia un ruolo centrale nella comprensione dei meccanismi per la prevenzione delle patologie cardiovascolari ed internistiche, del declino cognitivo, della Malattia di Alzheimer, della Malattia di Parkinson, e di altre patologie neurodegenerative.

Numerosi studi scientifici hanno indagato il sonno notturno nei pazienti a rischio di sviluppare patologie neurodegenerative, ed in particolare la Malattia di Alzheimer, o che presentino una disfunzione cognitiva soggettiva o lieve nell’ottica di prevenzione della demenza. Il trattamento dell’insonnia diviene così uno degli obiettivi per la prevenzione della disfunzione cognitiva e della malattia di Alzheimer. Data l’importanza di indagare la qualità del sonno notturno e le sue caratteristiche, la presenza di disturbi del sonno deve condurci ad impostare trattamenti farmacologici e non farmacologici rivolti ad assicurare un sonno notturno di buona qualità e quantità; di recente approvazione AIFA, la prima terapia che agisce su uno dei sistemi della veglia bloccando i recettori dell’orexina.

Uno studio dell’International REM sleep Behaviour Disorder (RBD) Study Group – un gruppo di studio internazionale nato nel 2010 con lo scopo di promuovere la ricerca e la divulgazione scientifica di questo disturbo – condotto dal professor Dario Arnaldi dell’Università di Genova – ha dimostrato che alterazioni nel funzionamento di specifiche aree cerebrali visibili alla SPECT (un esame di neuroimmagini), in combinazione con costipazione, deficit cognitivo ed età, indica un altissimo rischio di sviluppare una alfa-sinucleinopatia a distanza di 2 anni dalla diagnosi di RBD. In altre parole, questo studio dimostra che si può stimare con precisione se un paziente con RBD è ad alto rischio di sviluppare Parkinson o altre alfa-sinucleinopatie, nei due anni successivi alla diagnosi di RBD, un’informazione estremamente utile per il disegno di nuovi studi farmacologici. A disposizione per nuovi studi c’è anche il Database Italiano FaRPreSto (FAttori di Rischio PREdittivi) che già contiene 564 casi di RBD raccolti in 13 Centri italiani.

Ricerca e innovazione: le malattie neuromuscolari

Antonio Toscano, Ordinario di Neurologia presso l’Università di Messina e Segretario SIN ha spiegato che negli ultimi anni una migliore comprensione dei meccanismi genetico-molecolari di malattia, che provocano lo sviluppo delle malattie neuromuscolari, ha consentito di individuare nuove terapie più efficaci. Tra queste, l’utilizzo della terapia genica, degli oligonucleotidi anti-senso e della terapia enzimatica sostitutiva. La terapia genica si basa sulla possibilità di introdurre nell’organismo una copia funzionante del gene alterato. Tale terapia è autorizzata in Italia per il trattamento della SMA 1. Sempre nella SMA, una differente strategia consiste nella correzione del gene alterato (SMN) per garantire un migliore funzionamento del gene stesso. L’utilizzo di queste nuove strategie terapeutiche suggerisce però l’esigenza di una diagnosi precoce al fine di iniziare tempestivamente il trattamento. Oltre che per la SMA, nuovi approcci terapeutici riguardano le miopatie mitocondriali, le miopatie metaboliche come la malattia di Pompe e la Miastenia Gravis. Nella malattia di Pompe, determinata dall’assenza di un’enzima, l’alfa glucosidasi, è stata introdotta una nuova terapia enzimatica sostitutiva, che migliora i disturbi motori e respiratori dei pazienti. Riguardo la Miastenia Gravis, una malattia autoimmune, recentemente sono stati individuati nuovi farmaci, che agiscono a vari livelli cellulari riducendo gli attacchi anticorpali che caratterizzano la malattia.

Intelligenza Artificiale e Sclerosi Laterale Amiotrofica

La Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA), come ha ricordato Vincenzo Silani, già Professore Ordinario di Neurologia all’Università degli Studi di Milano e presidente del 52° Congresso SIN, comporta per definizione inabilità crescente in una popolazione di pazienti che mantiene per lo più inalterate le funzioni cognitive, in un segmento di età giovanile con alta istruzione ed attività professionale. La sensibilità dei pazienti alle nuove tecnologie è molto alta e, per questo, la malattia rappresenta un riferimento ideale per lo sviluppo di nuovi approcci tecnologici.

Una delle più utili tecnologie del futuro frutto di Machine Learning (ML) e Intelligenza Artificiale (IA) è l’ “hypersurface”, una nuova tecnologia che combina sensori vibrazionali a ML/AI, trasformando ogni oggetto di qualsiasi materiale, forma e dimensione in oggetto intelligente capace di riconoscere interazioni fisiche: nel paziente affetto da SLA una serie di gesti può essere quindi istantaneamente riconosciuta evocando specifici comandi e rendendo non necessario l’utilizzo di tastiere, bottoni, etc.

Oggi la possibilità di definire la prognosi del paziente affetto da SLA fin dall’inizio della malattia è una realtà, attraverso lo sviluppo di un modello personalizzato previsionale che tiene conto di vari fattori tra cui l’età di esordio e il tempo intercorso alla diagnosi. ML/AI permetteranno di definire biomarker diagnostici, di monitoraggio clinico e prognostici che favoriranno terapie sempre più personalizzate.

L’Intelligenza Artificiale per la diagnosi preclinica dell’Alzheimer e per la riabilitazione nella paraplegia.

L’ intelligenza artificiale (IA), ha detto Stefano Cappa, Ordinario di Neurologia, Scuola Universitaria Superiore IUSS di Pavia, allo stato  attuale è fondamentalmente un insieme di strumenti che sono in gradi di affrontare in modi differenti quello che è il limite principale della nostra formidabile dotazione di base, cioè il cervello umano. Tra i pochi limiti del macchinario biologico c’è la limitazione della sua capacità di analizzare grandi masse di dati. L’IA ci fornisce questo supporto, amplificando in modo fino a poco tempo fa inimmaginabile le nostre capacità. Un campo che ha rapidamente adottato gli strumenti offerti dall’IA è l’analisi delle neuroimmagini: la possibilità di “addestrare” gli algoritmi dell’AI a riconoscere pattern diagnostici di patologia neurologica estende (non sostituisce) il sistema visivo umano a livelli prodromici e (in associazione ad altri dati) preclinici nel caso della malattia di Alzheimer, migliora la diagnosi differenziale con altre demenze neurodegenerative e consente di formulare una prognosi sui rischi di progressione di malattia.  Inoltre, l’IA viene usata anche per la riabilitazione e della neuroprotesica consentendo di analizzare e decodificare in tempo reale enormi quantità di segnali neurali per controllare braccia robotiche, produrre segnali vocali o applicare procedure di neurostimolazione.

COVID e cervello: una relazione in evoluzione

Carlo Ferrarese, Direttore del Centro di Neuroscienze di Milano, Università degli Studi di Milano-Bicocca e della Clinica Neurologica, Ospedale San Gerardo di Monza ha parlato dei risultati  dello studio multicentrico NEUROCOVID, patrocinato dalla SIN, che ha visto la partecipazione di 38 Neurologie italiane, distribuite nelle varie regioni, con la partecipazione anche di San Marino. Tale studio ha reclutato quasi 3.000 pazienti affetti da complicanze neurologiche, dei quali quasi 2.000 erano ospedalizzati ed un migliaio seguiti a domicilio, nel periodo 1 marzo 2020-30 giugno 2021, con un follow-up dei casi fino al 31 dicembre 2021.

Attualmente è stata effettuata l’analisi dei pazienti ospedalizzati, che hanno presentato 2881 complicanze neurologiche in 1865 pazienti, su un totale di 52759 pazienti ospedalizzati per COVID-19, con diversa gravità sintomatologica. Le complicanze neurologiche più frequenti erano un’encefalopatia acuta, che si manifesta con delirium o disturbi di coscienza (25% dei casi), disturbi dell’olfatto o del gusto (20% dei casi), ictus ischemico (18% dei casi) e disturbi cognitivi (14% dei casi). L’incidenza delle complicanze neurologiche si è progressivamente ridotta nelle varie ondate della malattia, con una prevalenza di 8%, 5% e 3% rispettivamente nelle prime tre ondate. L’esordio dei sintomi si manifestava soprattutto nella fase iniziale di malattia, ma in alcuni casi vi era un esordio nelle settimane successive. Nella maggior parte dei casi vi era un buon recupero funzionale, anche se in molti casi si è assistito ad un persistere dei sintomi fino ad oltre sei mesi dall’infezione. Tra le complicanze neurologiche a distanza, che rientrano nel cosiddetto “long-COVID”, prevalgono i disturbi cognitivi, caratterizzati soprattutto da difficoltà di attenzione e di memoria

Emicrania: nuove opportunità terapeutiche e i marker serici per riconoscere gli abusatori dei farmaci antiemicranici

Antonio Russo, Responsabile del Centro Cefalee della I Clinica Neurologica dell’Università della Campania “Luigi Vanvitelli”, ha spiegato che nel percorso di sostegno e presa in carico dei pazienti affetti da emicrania sono di fondamentale importanza i nuovi farmaci per la terapia di prevenzione, finalizzati alla riduzione della frequenza e dell’intensità degli attacchi come la tossina botulinica che, utilizzata con un protocollo specifico si è dimostrata efficace nella prevenzione dell’emicrania cronica, e gli anticorpi monoclonali diretti contro il CGRP (peptide correlato al gene della calcitonina) attore protagonista del dolore emicranico. Il dato interessante è che tali trattamenti oltre ad essere efficaci (tali da indurre una riduzione di almeno la metà del numero di giorni con emicrania al mese in circa il 70% dei pazienti) sono altamente tollerabili e sicuri.

Un recente studio del gruppo della professoressa Tassorelli dell’Istituto Mondino di Pavia ha prodotto dati molto promettenti per identificare quei pazienti maggiormente a rischio di evolvere in una condizione di emicrania cronica con uso eccessivo di farmaci sintomatici e che pertanto meritano una maggiore attenzione al decorso clinico per un’azione preventiva precoce ed efficace: andando a valutare i livelli plasmatici del CGRP e l’espressione di alcuni pattern genetici (cosiddetto micro-RNA) provenienti da cellule del sangue periferico di pazienti emicranici, è emerso che i livelli di CGRP e l’espressione dei micro-RNA erano significativamente più alti nei soggetti con emicrania cronica con uso eccessivo di farmaci per l’attacco. Si è visto, inoltre, che la disassuefazione dai farmaci per l’attacco usati in maniera eccessiva ha comportato una riduzione significativa dei livelli di CGRP e l’espressione dei micro-RNA.

 

Alessandro Visca

Giornalista specializzato in editoria medico­­­­-scientifica, editor, formatore.