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congresso WCN

Al via il 25° Congresso Mondiale di Neurologia

Si è aperto ufficialmente il XXV Congresso Mondiale di Neurologia (WCN 2021). L’Italia è il paese ospitante e il congresso avrebbe dovuto svolgersi a Roma, ma a causa della pandemia, i lavori si tengono in modalità virtuale. L’evento è organizzato dalla World Federation of Neurology in partnership con la Società Italiana di Neurologia.

Gioacchino Tedeschi

Alla presidenza del Congresso c’è Antonio Federico, professore emerito di Neurologia presso l’Università di Siena, coadiuvato dal presidente della SIN, Gioacchino Tedeschi, condirettore scientifico del Congresso, che ha dichiarato:

Dopo molti anni la SIN torna ad ospitare il Congresso Mondiale di Neurologia. Siamo fieri del riconoscimento internazionale al valore e all’impegno nella ricerca scientifica e clinica in campo neurologico. Affrontiamo la sfida forti di una rinnovata collaborazione a livello mondiale, che ci consentirà di combattere malattie croniche e neurodegenerative del sistema nervoso centrale e le sfide importanti come quella che ci ha messo di fronte la Pandemia da Covid-19 con le sue conseguenze”.

Dal 3 al 7 ottobre il Congresso affronta i principali temi della ricerca e della clinica neurologica in 77 sessioni scientifiche, tenute da 270 relatori internazionali, a cui si aggiungono 45 corsi di insegnamento. Nella conferenza stampa di presentazione del Congresso, sono stati introdotti alcuni dei temi più interessanti.

Neuro-COVID, uno studio italiano valuta le conseguenze neurologiche del Covid-19

Carlo Ferrarese

Carlo Ferrarese, Direttore del Centro di Neuroscienze di Milano, Università di Milano –Bicocca e Direttore della Clinica Neurologica, Ospedale San Gerardo di Monza, ha introdotto le importanti acquisizioni sui disturbi neurologici legati al Covid-19 emerse dallo studio Neuro-COVID, l’analisi che ha visto l’Italia apripista nello studio delle relazioni e possibili complicanze neurologiche causate da infezione da Covid-19.

Allo studio, avviato dal marzo 2020e condotto dall’Università di Milano-Bicocca, dall’Università di Milano e dall’Istituto Auxologico di Milano, con il patrocinio dalla Società Italiana di Neurologia, hanno contribuito attivamente 50 Neurologie italiane, distribuite sul territorio nazionale.

Secondo l’analisi preliminare realizzata sui primi 904 pazienti ospedalizzati, provenienti da 18 centri del Nord e Centro Italia nel periodo Marzo 2020-Marzo 2021, si conferma che il disturbo neurologico più frequente è l’alterazione combinata dell’olfatto e del gusto (anosmia- ageusia,  che colpisce circa il 40% dei pazienti Neuro-COVID) con durata superiore a 1 mese nel 50% dei casi e fino a oltre 6 mesi nel 20%. Un secondo disturbo, anch’esso molto frequente (circa il 25% dei pazienti Neuro-COVID), è l’encefalopatia acuta ovvero uno stato di confusione mentale, perdita di attenzione e memoria, stato di agitazione, fino ad una alterazione dello stato di coscienza e al coma.

È tuttora oggetto di dibattito il legame causa-effetto tra l’infezione da COVID e l’ictus ischemico, verificato nel 20% dei casi dei pazienti oggetto dello studio Neuro-COVID.  Tuttavia, quasi tutti riportavano i classici fattori di rischio vascolare per un ictus (ipertensione, diabete, fibrillazione atriale, ipercolesterolemia). Sembra in vece confermato che l’infezione da COVID abbia fatto da “innesco” per la trombosi arteriosa cerebrale, ma anche per le trombosi venose cerebrali, molto più rare. La cefalea associata a Covid è frequente, nel 50% dei casi diventa cronica e dura oltre 2 settimane mentre in circa il 20% dei casi ha una durata superiore ai 3 mesi.

I disturbi cognitivi post-COVID fanno parte della “sindrome long COVID”, non sono rari (circa il 10% dei soggetti Neuro-COVID) ma l’entità del disturbo è quasi sempre di grado modesto e non raggiunge i criteri di una “demenza”. La durata media è circa 3 mesi e si risolve spontaneamente entro i 6 mesi in quasi la totalità dei cas

Alzheimer, nuove prospettive per la cura e biomarker per la diagnosi

Alessandro Padovani

Alessandro Padovani, Direttore della Clinica Neurologica dell’Università di Brescia ha sottolineato come la recente approvazione di un nuovo farmaco per la Malattia di Alzheimer, disposta dall’ente regolatorio Usa (FDA), apre uno scenario di cauto ottimismo nella cura di questa patologia.

Si tratta di un anticorpo monoclonale che ha come bersaglio una particolare forma della proteina beta-amiloide. La terapia, secondo quanto dichiarato dalla FDA, sarebbe in grado di contrastare l’accumulo di beta-amiloide. In attesa di verificarne la tollerabilità (il trattamento può avere effetti collaterali), resta anche da chiarire se l’azione nei confronti di questo meccanismo sia da sola sufficiente per rallentare la progressione della malattia, oppure se un eventuale effetto favorevole sia presente in tutti i pazienti e persista nel tempo.

Non solo, altri studi sperimentali hanno documentato che potrebbe essere efficace anche un trattamento mirato alla proteina Tau, eventualmente in associazione con i trattamenti anti amiloide, mentre diverse evidenze originate anche da studi italiani convergono sul ruolo terapeutico di procedure di neurostimolazione, non solo per migliorare la memoria, ma anche per rallentare il decorso clinico.

Oltre a questo, diverse evidenze puntano su alcuni farmaci, recentemente sviluppati per la cura del diabete, i quali sembrano interferire a vari livelli con i processi neuropatologici associati alla malattia. Sembra infatti, dalle più recenti evidenze, che il rischio di demenza sia ridotto con l’assunzione di liraglutide e semaglutide, principi attivi utilizzati nel trattamento del Diabete di tipo II.

Sul fronte della diagnosi, il progresso tecnologico ha reso possibile negli ultimi anni ricercare proteine nel sangue associate alla Malattia di Alzheimer. Alla ricerca italiana va il merito di aver contribuito all’identificazione di biomarcatori plasmatici oltre a quelli liquorali, mentre negli USA cresce l’interesse per tecniche di analisi della retina. Gli ultimi studi dimostrano infatti come attraverso l’esame della retina, un importante neurotrasmettitore, è possibile isolare i biomarkers della malattia, consentendo in un prossimo futuro di accedere a diagnosi più precoci, meno invasive e più dettagliate.

Ictus, si allarga la finestra temporale per trombolisi e trombectomia

Massimo Del Sette

Massimo Del Sette, Direttore Neurologia Ospedale San Martino di Genova ha evidenziato come nuove metodologie di diagnostica neuroradiologica avanzata, in particolare la TC cerebrale con introduzione endovena di mezzo di contrasto, permettono di ricostruire immagini della perfusione cerebrale. Questo consente di comprendere meglio sia il tempo di insorgenza di un ictus, sia quale sia il vantaggio di procedere alla ricanalizzazione.

Grazie a queste nuove tecniche di indagine abbiamo una “finestra temporale” di intervento più ampia rispetto a prima: dove di norma si deve intervenire entro 4 ore e mezza con la trombolisi ed entro 6 ore con la trombectomia meccanica, grazie alla TC cerebrale con studio della perfusione (e in concomitanza di alcune situazioni individuali, per età, presenza di circolazione collaterale e  particolare lunghezza e sede del trombo) si può consentire di allungare il tempo di intervento per la trombolisi endovena fino a 9 ore e per la trombectomia meccanica fino a 24 ore.

Nell’organizzazione della “rete” degli ospedali, sono sempre più numerosi i centri in grado di effettuare la terapia con trombolisi endovena (centro SPOKE) e altri centri, di elezione, che possono praticare sia la trombolisi endovena, ma anche la trombectomia meccanica, terapia che richiede strumentazioni più sofisticate (centro HUB).

Infine, sono stati recentemente pubblicati studi che hanno valorizzato l’uso di una “Unita Ictus Mobile” (Mobile Stroke Unit, MSU), una sorta di ambulanza con strumentazione per effettuare TC a bordo. Con tale strumento, anziché portare il paziente all’ ospedale per effettuare la trombolisi, si porta la trombolisi a casa del paziente.

Inoltre, nell’ambito della prevenzione della malattia, innovazioni farmacologiche importanti sono l’utilizzo di farmaci antagonisti degli anticoagulanti diretti, il sempre maggiore utilizzo della associazione di due antiaggreganti piastrinici per la prevenzione dell’ictus ischemico nonché la prossima immissione di farmaci per la terapia delle ipercolesterolemie, con un “parterre” di nuove molecole che arricchiscono l’armamentario del neurologo vascolare per la prevenzione dell’ictus.

Malattie rare, la neurologia al centro della nuova classificazione

Antonio Federico

Antonio Federico, Professore Emerito di Neurologia, Università di Siena e presidente del 25° Congresso Mondiale di Neurologia ha ricordato, innanzitutto, che il 60% delle oltre 6 mila malattie rare riconosciute ha un coinvolgimento del sistema nervoso centrale, periferico o del muscolo.

Per la prima volta la nuova classificazione internazionale delle Malattie Rare (ICD11), recentemente redatta dall’OMS con il contributo di molti esperti internazionali di tutte le specializzazioni, introduce un importante capitolo della neurologia, riconosciuto quale criterio centrale per la epidemiologia delle malattie e per la loro corretta classificazione.

Secondo la nuova classificazione accettata a livello globale, infatti, le malattie cerebrovascolari sono incluse tra le malattie neurologiche, e non più tra quelle vascolari, mentre le demenze sono a doppia pertinenza, neurologica e psichiatrica, e moltissime malattie neurologiche rare, prima assenti, ora sono incluse.

Per la prima volta le malattie neurologiche rare avranno una forte presenza al Congresso Mondiale di Neurologia con un Corso di aggiornamento che affronta vari modelli di patologie neurologiche rare, dalle leucodistrofie alle demenze, le miopatie, le neuropatie periferiche, le forme rare di epilessia ed altre.

La CADASIL, malattie genetica dei piccoli vasi cerebrali, sarà oggetto di una Main Lecture, e le Malattie dei Piccoli vasi cerebrali, saranno oggetto di un workshop, partendo dalla clinica, agli aspetti fisiopatologici ed infine alle prospettive terapeutiche.

Le immunoglobuline nella terapia neurologica, rivedere i criteri di prescrivibilità

Gabriele Siciliano
Gabriele Siciliano

Gabriele Siciliano, Professore di Neurologia presso la scuola di Medicina dell’Università di Pisa Direttore UOC Neurologia, Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana ha affrontato il tema dell’utilizzo degli anticorpi derivati da plasma di donatori di sangue nei trattamenti neurologici.

Questa pratica rappresenta ormai da svariati decenni un rilevante presidio farmacologico per diverse patologie, trovando largo impiego in ambito neurologico nel trattamento di patologie immunomediate; ancora ad oggi, però, l’impiego delle immunoglobuline nelle terapie neurologiche rimane ufficialmente limitato ad alcune condizioni che offrono un adeguato livello di prova e tollerabilità.

Per altre malattie, come per esempio le neuropatie associate a discrasia ematica, varie forme di miositi, encefaliti e mieliti, malattie caratterizzate da gravi manifestazioni neurologiche, l’utilizzo di immunoglobuline avviene di fatto i “off-label”, cioè in assenza di una indicazione terapeutica  autorizzata dall’ AIFA, a fronte di una frequente marcata e decisiva efficacia.

Una incongruenza che trova riscontro nei fatti, da una parte la scarsità di studi clinici controllati, trattandosi per lo più di malattie rare, dall’altra l’incertezza nel riconoscimento autorizzativo che ne può derivar come di recente per esempio avvenuto in seguito a istanza presentata dalla SIN all’AIFA nel novembre 2020 per la richiesta di inserimento delle Immunoglobuline e.v (IVIg) e del Rituximab nella legge 648/96, come terapia di I e di II linea per le encefaliti autoimmuni.

Nel contempo vengono ad oggi continuamente riportati in letteratura diversi casi di patologia neurologica ad eziologia immunomediata, incluse le encefaliti, in pazienti affetti da infezione SARS-Cov19, offrendo ulteriori conferme del beneficio riportato da tale trattamento in tutte le forme descritte.

È evidente come quindi si ravveda la necessità di rivedere i criteri di prescrivibilità di tale presidio terapeutico, pur nell’ottica di attenti criteri di farmacoeconomia considerato il suo costo non indifferente, e di una riflessione su questioni pratiche e di mercato, relative alla modalità di approvvigionamento e lavorazione di plasma derivante da donatori.

Alessandro Visca

Giornalista specializzato in editoria medico­­­­-scientifica, editor, formatore.