Sclerosi multipla, il ruolo di cladribina compresse nell’algoritmo terapeutico attuale
La sclerosi multipla (SM) è una patologia severa, in cui la neurodegenerazione è presente fin dalle prime fasi di malattia. E ormai numerosi studi concordano nell’affermare che i migliori risultati clinici si ottengono intervenendo precocemente con terapie ad alta efficacia.
È sulla base di queste evidenze scientifiche che si è sviluppata la discussione nel corso del simposio “Advancing MS care: il ruolo di Cladribina compresse nell’evoluzione dell’algoritmo terapeutico”, tenutosi per iniziativa di Merck Serono nell’ambito del recente Congresso della Società Italiana di Neurologia (SIN), con gli interventi di Massimiliano Calabrese, del Dipartimento di Neuroscienze Biomedicina e Movimento dell’Università di Verona; Nicola De Stefano, del Dipartimento di Scienze mediche, chirurgiche e neuroscienze dell’Università di Siena; Pietro Iaffaldano, dell’Università degli Studi di Bari Aldo Moro; Carla Tortorella, dell’UOSD Malattie Degenerative Sistema Nervoso Azienda Ospedaliera S. Camillo; Massimiliano Mirabella, dell’UOS Sclerosi Multipla della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS di Roma e moderato dai Proff. Massimo Filippi dell’Unità di Neurologia e Divisione di Neuroscienze dell’IRCCS San Raffaele di Milano e Claudio Gasperini del Dipartimento di Neuroscienze dell’AO San Camillo-Forlanini di Roma.
Attualmente il panorama delle terapie per la SM è molto ampio, e si suddivide grosso modo in due categorie: la prima è quella dei farmaci con somministrazione continua, che hanno un effetto lento e continuativo, la seconda è quella delle terapie di immuno-ricostituzione, tra cui cladribina compresse.
In questa seconda categoria, avviene tipicamente una riduzione della conta linfocitaria, a cui segue poi la fase di ripopolazione e infine la fase di ricostituzione, al termine della quale si riscontra, rispetto alla condizione iniziale, una riduzione dei linfociti B memory e un aumento dei linfociti B naïve. Complessivamente, c’è quindi un effetto sul sistema immunitario e sulla sua composizione. A questo riguardo, è stato sottolineato come sulla scorta dei dati accumulati l’effetto di cladribina compresse sui linfociti B non abbia destato preoccupazioni di sicurezza.
Un altro parametro di valutazione importante è la componente citochinica nel siero. Nei pazienti trattati con cladribina compresse, si osserva una riduzione di quasi tutte le citochine pro-infiammatorie – IL-6, GM-CSF e tutto il gruppo del TNF – mentre risultano aumentate le citochine anti-infiammatorie, come IL-10.
In anni recenti è emerso anche che la SM è una malattia con una doppia fase: a un’infiammazione periferica si associa infatti un’infiammazione compartimentalizzata, intratecale: cladribina compresse ha dimostrato di poter agire su entrambi i fronti. I dati di una sottoanalisi esploratoria dello studio MAGNIFY-MS su un piccolo gruppo di pazienti mostrava per esempio una riduzione del 76,5% delle bande oligoclonali a due anni di trattamento con questa molecola, così come una diminuzione della concentrazione di neurofilamenti, sia nel siero sia nel liquor. Altri endpoint esploratori dello studio MAGNIFY-MS mostrano che il massimo beneficio del trattamento con cladribina compresse si manifesta dopo il primo anno: la percentuale di pazienti che raggiungono NEDA-3 è del 32,8% al primo anno, del 64,1% al secondo, del 78,6% al terzo e del 79,2% al quarto. Nell’estensione dello stesso studio, denominata MAGNIFY-MS Ext, è stato osservato inoltre un miglioramento del punteggio SDMT (scala a 4 punti) nel 51,6% dei pazienti nel corso di quattro anni. Un ulteriore endpoint significativo, la progressione indipendente dall’attività di recidiva (PIRA), era presente solo nel 17% dei pazienti trattati.
Particolarmente significativi per la pratica clinica sono i dati a lungo termine e quelli di real world. A tale proposito è possibile citare gli studi CLARITY/CLARITY EXT. Dopo oltre 10 anni di follow up il 90% dei pazienti trattati con cladribina compresse non aveva bisogno di una sedia a rotelle, contro il 77,8% dei pazienti del braccio placebo, mentre le percentuali di soggetti che non ricevevano ulteriori trattamenti con farmaci DMT erano del 55,8% e del 26,8%, rispettivamente.
In un’esperienza di real world italiana, tre pazienti trattati su quattro mantenevano il NEDA-3 e non avevano bisogno di ulteriori trattamenti al quarto anno. In uno studio europeo più ampio (N= 2.630), basato sull’MSBase Registry, il 95% dei pazienti è rimasto in trattamento con cladribina e non è passato ad altri farmaci, mentre l’ARR è risultato di 0,009 fino a oltre i cinque anni di trattamento.
Per quanto riguarda la sicurezza, i dati a lungo termine di esposizione a cladribina compresse ormai contano oltre 100mila pazienti e 250mila pazienti-anno: la proporzione di pazienti con infezioni è estremamente bassa; si riscontra un rischio estremamente basso di linfopenia severa e nessun caso confermato di leucoencefalopatia multifocale progressiva.
Per ciò che concerne l’efficacia in termini di PIRA, si può far riferimento all’esperienza del Registro Italiano Sclerosi Multipla. Un’analisi relativa a 978 pazienti, per i quali erano disponibili i dati sulle singole somministrazioni dei farmaci, mostra che l’ARR è diminuito da 0,96 a due anni prima dell’inizio di cladribina compresse a 0,09 a due anni di follow-up. In ultimo, vale la pena considerare il posizionamento del farmaco in specifiche categorie di pazienti.
Negli studi CLARIFY MS e CLARIFY-MS EXT, l’ARR fino a quattro anni di trattamento risultava di 0,03 nei pazienti naïve (N=74, 20% del totale) e dello 0,15 nei pazienti con precedente DMT (N= 280). Tale differenza si conferma anche nei trial di estensione a lungo termine (ARR di 0,11 vs. 0,16) e nello studio MAGNIFY (ARR: 0,04 vs. 0,11 nei primi due anni; 0,06 vs. 0,09 fino a 4 anni), così come anche negli studi di real life. Un’esperienza italiana su 114 pazienti mostrava un mantenimento di NEDA-3 del 74,9% sul totale dei pazienti, del 75,2% dei pazienti naïve (N= 57), del 74,3% in quelli passati a cladribina compresse dalla prima linea di trattamento e del 64,3% e dalla seconda linea. Significativo anche il fatto che cladribina compresse offra alle pazienti in età fertile l’opportunità di intraprendere una gravidanza a sei mesi dall’ultimo trattamento, in assenza di immunosoppressione cronica.
Un ambito particolarmente rilevante è quello dell’uso di cladribina compresse nell’età più avanzata, considerato che la quota di pazienti late onset dal 1990 al 2021 è passata dall’1 al 10% del totale. I dati dello studio CLARITY in cui veniva considerato il confronto tra pazienti sopra e sotto i 45 anni mostrano una riduzione del 61% dell’ARR rispetto al placebo contro una riduzione del 50%. Studi di real world mostrano punteggi di ARR e EDSS nei pazienti con più di 50 anni confrontabili con quelli della coorte complessiva. Negli studi a lungo termine infine, tutti i pazienti over 50 rimangono liberi da recidive fino a cinque anni.