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Consumo di alimenti ultraprocessati e declino cognitivo

Il consumo abituale di alimenti ultra-processati è stato collegato a un rischio più elevato di malattie cardiovascolari, sindrome metabolica e obesità, ma si sa poco sull’associazione del consumo questi cibi con il declino cognitivo. Una luce sul tema viene ora gettata da un nuovo studio pubblicato su “JAMA Neurology” da Natalia Gomes Gonçalves dell’Università di San Paolo, in Brasile, e colleghi.

Si tratta di uno studio di coorte prospettico multicentrico condotto in tre fasi successive, a distanza di circa quattro anni l’una dall’altra, dal 2008 al 2017. I dati sono stati analizzati da dicembre 2021 a maggio 2022. Sono stati esclusi i partecipanti che, al basale, presentavano un questionario di frequenza alimentare, dati cognitivi o covariati incompleti. Sono stati esclusi anche i partecipanti che hanno riferito un apporto calorico estremo (<600 kcal/giorno o >6000 kcal/giorno) e quelli che assumevano farmaci che potevano interferire negativamente con le prestazioni cognitive.

I principali outcome erano rappresentati da variazioni delle prestazioni cognitive nel tempo, valutate attraverso il richiamo immediato e differito di parole, il riconoscimento di parole, i test di fluenza verbale fonemica e semantica, e il Trail-Making Test versione B.

Sono stati analizzati i dati di 10.775 partecipanti, con età media al basale di 51,6 anni, per il 54,6% di sesso femminile. Durante un follow-up mediano (range) di 8 (6-10) anni, i soggetti con un consumo di alimenti ultra-processati superiore al primo quartile hanno mostrato un tasso di declino cognitivo globale più rapido del 28% (β = -0,004; IC al 95%: da -0,006 a -0,001; p = 0,003) e un tasso di declino delle funzioni esecutive più rapido del 25% (β = -0,003, IC al 95%: da -0,005 a 0,000; p= 0,01) rispetto a quelli nel primo quartile.

Folco Claudi

Giornalista medico scientifico