Gli aspetti neurologici della pandemia da Covid-19
La pandemia da Covid-19 è rapidamente diventato un problema sanitario mondiale (1). Ora che, come evidenzia l’associazione GIMBE (2) nel nostro Paese inizia a intravvedersi un trend in diminuzione verosimilmente legato alla campagna vaccinale, ripercorriamo la storia di un particolare aspetto della pandemia rivelatosi con il tempo sempre più importante: le complicanze del Sars-Cov-2 a carico del SNC.
Secondo un report dell’European Academy of Neurology (3) fino a un terzo dei casi ha presentato complicanze neurologiche, anche se con distribuzione in termini di prevalenza, incidenza e caratteristiche variabili per lo più a causa della diversa provenienza delle fonti di segnalazione (ospedali vs territorio) e del differente approccio diagnostico dei medici.
Nel corso della pandemia è insorta la complicanza di lungo termine a cui è stato dato il nome di Long Covid che compare in soggetti clinicamente guariti e anche in questo caso la componente neurologica compare in misura variabile (4).
Il registro ENERGY
Per aver un quadro più preciso delle manifestazioni neurologiche da COVID-19 e dei loro outcome l’European Academy of Neurology, di concerto con le Società Neurologiche dei vari Paesi europei e con il Neurocritical Care Society and Research Network ha creato l’Ean Neuro.Covid Task Force (5) che ha messo a punto un registro autonomo internazionale mirato sulle manifestazioni neurologiche denominato ENERGY in cui far confluire i dati europei relativi a tali sintomi in pazienti con infezione sospetta o confermata di COVID-19 a cui in agosto avevano già aderito 254 centri di 69 diversi Paesi.
Ne è emerso che le complicanze neurologiche sono associate a un peggior outcome dell’infezione anche se l’anno scorso non appariva ancora chiaro in che misura, tant’è che la Task Force ha sollecitato i Paesi membri ad adottare misure di monitoraggio sistematico volto a selezionare coorti di pazienti maggiormente a rischio per questo tipo di complicanze, segnalando le più frequenti per attuare adeguate misure di prevenzione.
A tale scopo è stata distribuita ai Paesi membri una cartella telematica clinico-epidemiologica creata allo scopo (eCRF, acronimo di electronic Case Record Form) da utilizzare sia nei casi di infezione sospetti che confermati (6).
Per la raccolta dati è stato creato un data base elettronico accessibile solo ai partecipanti alla survey con password.
Un’indagine italiana
Per quanto riguarda l’Italia, coinvolta comunque anche nella survey EAN, lo scorso giugno i neurologi del Dipartimento di Scienze della salute dell’Università di Milano diretti da Alberto Priori hanno condotto la prima indagine online italiana che ha fornito una fotografia della situazione della prima fase della pandemia nel nostro Paese tramite un altro questionario messo a punto dai ricercatori milanesi con cui hanno chiesto a tutti i medici di segnalare la comparsa di sintomi neurologici nei loro pazienti colpiti dal virus.
Hanno risposto 126 medici di 9 differenti specialità di 10 diverse regioni italiane e i risultati dell’indagine sono stati pubblicati tre mesi dopo (7).
I sintomi riportati sono risultati grossomodo simili a quelli delle precedenti infezioni Sars (Severe acute respiratory syndrome Coronavirus) e Mers (Middle east respiratory syndrome Coronavirus) (8), tuttavia ben l’87,3% dei medici ha riportato sintomi di tipo neurologico (9), per lo più lievi e aspecifici, ma in alcuni casi severi.
Neurotropismo. Già nella Sars e nella Mers si erano verificate rare complicanze neurologiche e le risposte per il Sars-CoV-2 dei medici italiani hanno confermato che i coronavirus possono attraversare la barriera ematoencefalica: per oltre la metà di chi ha risposto i sintomi neurologici osservati sarebbero correlabili all’infezione e per quasi un quarto il coinvolgimento del sistema nervoso va considerato diretto. Per meno di un sesto si tratterebbe, invece, di un riscontro casuale. La variabilità delle risposte può essere dovuta alla diversa specializzazione dei medici coinvolti: oltre la metà neurologi, un quarto internisti e un altro quarto circa medici di diversa estrazione come infettivologi, ematologi, pneumologi o anestesisti, ognuno con una propria chiave di interpretazione patogenetica legata alla sua particolare specializzazione (10). Un altro fattore possibilmente confondente è la non linearità temporale della raccolta dei dati. La partecipazione all’indagine ha infatti inizialmente seguito l’andamento epidemiologico di diffusione del contagio: nelle prime fasi tre quarti delle risposte (75%) sono infatti arrivate da medici della Lombardia, primo epicentro pandemico (11).
Tronco-encefalo.I dati raccolti sono comunque subito apparsi in linea con quelli dei ricercatori cinesi delle Università di Jilin e di Pechino (12) e con quelli dei giapponesi del Brain Science Institute di Saitama (13) i quali, riesaminando retrospettivamente le cartelle dei loro pazienti denunciavano, seppur con frequenza minore (36,4%) la presenza di sintomi neurologici come cefalea, nausea e vomito, che gli autori asiatici ascrivono a un verosimile interessamento del tronco-encefalo il quale, controllando anche le funzioni cardio-respiratorie, potrebbe fornire un’ulteriore chiave di lettura al crollo cardio-respiratorio spesso fatale dei pazienti (14).
Happy hypoxemia. Per inciso va segnalato uno studio belga pressoché contemporaneo alla survey italiana (15) in cui viene coniata la definizione di “happy hypoxemia” a significare l’incongruità fra la gravità dell’ipossiemia e il discomfort respiratorio relativamente lieve dei pazienti COVID che si verifica nelle fasi iniziali di malattia quando i meccanismi di ventilazione appaiono ancora preservati e i centri respiratori non ricevono segnali di difficoltà respiratoria.
Dal tronco al vago. Il coinvolgimento del tronco-encefalo nella compromissione respiratoria arriva anche da uno studio degli stessi autori della Survey italiana (16) dove lo dimostrano sia per via clinica (riflesso glabellare vs corneale) che neurofisiologica (elettromiografia), un’intuizione che, per primi al mondo, hanno poi recentissimamente confermato per via immuno-isto-patologica evidenziando danno dei centri respiratori tronco-encefalici da aumento dei corpora amylacea e dell’espressione gliale Iba-1, individuando altresì nel nervo vago a partenza dal tronco la via di comunicazione fra polmone e cervello.
Sintomi clinici. La survey dei ricercatori milanesi mirata sulla sintomatologia neurologica era comunque eminentemente clinica e fra i sintomi più frequenti inizialmente messi in luce c’erano alterazioni del gusto e dell’olfatto, seguite da tremore, disturbo del cammino, turbe visive, segni meningei, cefalea, crisi epilettiche, disturbi muscolari con dolore mialgico, facile affaticabilità, paralisi flaccida simil-poliomelitica ecc. (vedi tabella).
Come poi specificato in fase di pubblicazione la mialgia è stata inclusa fra i sintomi neurologici perché non era ancora chiaro se la sua eziopatogenesi fosse infiammatoria piuttosto che da danno muscolare diretto. Alla fine della raccolta dei dati, oltre a mialgie, disgeusia e anosmia, i sintomi più frequenti sono risultati alterazioni dello stato di coscienza e cefalea.
Concordanze e discordanze. Disgeusia e anosmia sono state riportate anche dai ricercatori del Sacco di Milano e dell’Università di Johannesburg diretti da Massimo Galli che, dopo una segnalazione sulla rivista Clinical Infectious Diseases (17), hanno inviato alla stessa rivista uno studio (18) in cui, tramite valutazione autoriportata su 59 pazienti, segnalano disturbi misti di olfatto e gusto nel 18,6% dei casi. Il riscontro di disturbi neurologici appare minore: ad esempio cefalea (3,4% dei casi), artralgie (5,1%) o astenia (1%).
Riscontri opposti. Uno studio americano pubblicato su Acta Neurologica Scandinavica (19) su 23 pazienti COVID valutati fra il 14 marzo e il 18 maggio 2020 indica invece che il 52% aveva come manifestazione inaugurale dell’infezione non già disturbi del gusto e dell’olfatto, dispnea, ecc. bensì una sintomatologia neurologica che il restante 48% sviluppava comunque nel successivo decorso.
Solo il 33% aveva anche gli altri tipici sintomi di presentazione e il 23% non ne aveva affatto. 8 pazienti hanno avuto successivamente dispnea con necessità di ventilazione forzata e solo 1 anche febbre.
I sintomi neurologici di presentazione più comuni erano alterazione della coscienza (43%), stroke (34%), disturbi del cammino (22%), cefalea (17%), comizialità (13%), disturbi del visus (9%), eventi sincopali (4%) ed emorragie intacraniche (4%).
Stroke. Il sintomo più frequente in entrambi i gruppi di pazienti, sia in quelli con le tipiche manifestazioni dell’infezione da COVID sia in quelli senza, è risultato lo stroke.
Gli autori, rilevando livelli più elevati di D-dimero, già prospettano una possibile correlazione con alterazione dei fattori della crasi ematica oggi ipotizzati per le trombosi post-vaccino (vedi di seguito), sottolineando come le comorbidità più a rischio fossero ipertensione, iperlipidemia, coronaropatie, nefropatie, obesità (BMI > 30 kg/m2) e asma, quadri che oggi fungono da spartiacque nella scelta fra vaccini di vecchia e nuova generazione (20).
Un successivo comment pubblicato sulla stessa rivista (21) sottolinea come lo spettro dei sintomi neurologici che possono inaugurare l’infezione da COVID-19 sia ancora più ampio di quello segnalato dagli autori enumerando paralisi del faciale, sindrome di Guillain-Barré, perdita della memoria a breve termine, encefalopatia posteriore reversibile, disautonomia, atassia ecc.
Allo stesso tempo, però, per quanto ritengano intrigante il fatto che nessuno dei pazienti abbia presentato turbe del gusto e dell’olfatto come sintomi iniziali, gli autori contestano ai colleghi di aver mischiato i sintomi con la diagnosi, perché lo stroke, gli attacchi epilettici o l’emorragia cerebrale non sono sintomi, ma comorbidità.
Cefalea. A precedere i classici sintomi dell’infezione può essere anche un particolare tipo di cefalea di grado lieve, ma continua: la segnalazione proviene da un alert dell’Anircef, l’Associazione neurologica italiana per la ricerca sulle cefalee, diramato il 5 aprile dell’anno scorso in cui il presidente onorario Gennaro Bussone sottolinea come tale sintomo possa presentarsi nelle fasi iniziali dell’infezione, già nelle settimane che precedono la sintomatologia febbrile, l’astenia diffusa e i disturbi olfatto-gustativi (22).
La comparsa di una cefalea continua e di intensità lieve in un paziente che non ne aveva mai sofferto prima richiede un’anamnesi approfondita perché potrebbe trattarsi di paziente COVID asintomatico.
Il tipo di cefalea segnalata dai neurologi dell’Anircef diventa, così, un altro sintomo neurologico che può allertare in caso di comparsa precedente l’esordio dei classici disturbi di gusto e olfatto.
Vaccino. A distanza di un anno, in quella che è ormai la fase vaccinale della pandemia sempre in aprile un altro alert di SIN/ANEU (23), confermando i sospetti espressi in febbraio da Chuang e coll., informa i neurologi del nostro Paese circa l’opportunità di dosare gli anticorpi anti-PF4 nei soggetti da sottoporre a vaccinazione a causa dei rari, ma talora gravi casi (mortalità del 40-60%) di complicanza trombotica da vaccinazione anti-COVID-19 (24, 25)