Giornata mondiale contro l’ictus: “i minuti salvano la vita”
“Minutes can save lives”: i minuti possono salvare una vita. È questo lo slogan scelto per l’edizione 2021 della giornata mondiale contro l’ictus, celebratasi lo scorso 29 ottobre, a sottolineare l’importanza decisiva del riconoscimento tempestivo dei sintomi per l’esito dell’evento ictale. Come ha ricordato Andrea Vianello, neopresidente di A.L.I.Ce. Italia Odv (Associazione per la Lotta all’Ictus Cerebrale) in occasione dell’evento, ogni minuto di ritardo nell’intervento costa al paziente 1,9 milioni di neuroni. La finestra temporale per l’intervento è di 4,5-6 ore, anche se recenti indicazioni hanno esteso tale intervallo a 24 ore in caso di danni neurologici circoscritti.
Mauro Silvestrini, Presidente dell’Italian Stroke Association (ISA) e responsabile della Clinica neurologica degli Ospedali Riuniti di Ancona, ha spiegato:
L’ictus è una patologia tempo-dipendente: i risultati positivi che possono essere ottenuti grazie alle terapie disponibili (trombolisi e trombectomia meccanica) sono strettamente legati alla precocità con cui si interviene. È dunque fondamentale riconoscere il prima possibile i sintomi e chiamare il 112 per poter arrivare in tempi rapidi in ospedale. In questo modo si può pensare di ridurre non solo il rischio di mortalità, ma anche di evitare ictus particolarmente gravi, cercando di limitare danni futuri e soprattutto le conseguenze di disabilità, molto spesso invalidanti, causati da questa malattia”.
La comunicazione rivolta al grande pubblico si è soffermata anche quest’anno sulla prevenzione, sottolineando come l’80% degli eventi ictali è evitabile individuando precocemente i fattori di rischio modificabili e controllando specifiche condizioni sanitarie, come la fibrillazione atriale. A questa aritmia cardiaca, che colpisce secondo le stime un milione circa di italiani, viene attribuito il 20% circa degli ictus ischemici.
Ciro Indolfi, Presidente della Società Italiana di Cardiologia, ha aggiunto:
Chi è affetto da fibrillazione atriale vede aumentare di quattro volte il rischio di ictus tromboembolico, che risulta generalmente molto grave e invalidante perché l’embolo che parte dal cuore chiude arterie di calibro maggiore, con un danno ischemico a porzioni più estese di cervello; questa forma di ictus, infatti, determina una mortalità del 30% entro i primi tre mesi dall’evento e lascia esiti invalidanti in almeno il 50% dei pazienti.”