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Malattia di Parkinson: tutti al mare, ma con attenzione

a cura di
Cesare Peccarisi

Nella seduta parlamentare del 10 maggio le misure di sicurezza anti-Coronavirus INAIL e ISS per la riapertura di bar, ristoranti e spiagge, sono state approvate dal CTS rendendo possibile il ritorno al mare degli italiani.

Secondo uno studio pubblicato su Neurology (1) ci sarebbe una fascia di bagnanti che potrebbe avere problemi ancora più immediati della Covid-19, soprattutto in acqua. E questo nonostante si tratti di provetti nuotatori. Sono pazienti affetti da malattia di Parkinson tornati a una vita pressoché normale grazie al trattamento con DBS (deep brain stimulation), tecnica che, messa a punto alla fine degli anni ’80 da Alim Louis Benabid e coll. dell’Università di Grenoble (2), ha rivoluzionato lo scenario di trattamento. La neurostimolazione risulta utile quando altri trattamenti hanno fallito, compresa la levodopa, farmaco di riferimento che con il tempo tende a perdere efficacia nonostante l’associazione di dopamino-agonisti.

La sorpresa che emerge da questo studio deriva dal fatto che contrappone due strategie di trattamento entrambe sorrette da comprovate risultanze clinico-scientifiche.

Da una parte i ricercatori dell’Università di Zurigo diretti da Daniel Waldvogel e Heide Baumann-Vogel esortano a star lontani dall’acqua alta i parkinsoniani che hanno usufruito della DBS.

Dall’altro esistono esperienze di anni sull’efficacia del trattamento riabilitativo con la cosiddetta idrokinesiterapia (idroCT) cioè con la riabilitazione che viene effettuata proprio in acqua con appositi esercizi e particolari ausili di galleggiamento, tant’è che nei migliori centri riabilitativi per malattia di Parkinson c’è una piscina ove eseguire cicli di questo tipo di riabilitazione fisioterapica.

Ogni tipo di riabilitazione fisioterapica è sempre stato considerato un ottimo completamento della terapia farmacologica della malattia di Parkinson perché migliora le attività motorie compromesse dalla malattia (3) e, se effettuata in acqua, il ridotto carico di gravità crea un ambiente di microgravità simile a quello dei viaggi spaziali che dona ai movimenti maggior fluidità e leggerezza che consentono al paziente di imparare più facilmente come gestire le variazioni di assetto corporeo indotte dalla spinta di galleggiamento con conseguente migliorato controllo di postura, equilibrio e coordinazione motoria.

Il mistero si infittisce

Anche se il caveat dei neurologi svizzeri riguarda solo chi ha usufruito di DBS, l’interrogativo resta comunque intrigante: perché una tecnica capace di risolvere casi in cui anche i migliori farmaci hanno fallito, risulta efficace finché si resta con i piedi per terra, mentre in acqua smette di funzionare?

Dallo studio risulta che ciò che in particolare ha sorpreso i ricercatori è il fatto che il fenomeno non ha interessato casi indipendenti fra loro, ma addirittura gli stessi pazienti (9 in totale) i quali, provetti nuotatori già prima di ammalarsi di Parkinson, dopo l’impianto di DBS sulla terraferma stavano bene, ma in acqua perdevano tutti i vantaggi di cui peraltro si erano dichiarati molto soddisfatti.

Per trovare una spiegazione all’inatteso fenomeno i ricercatori hanno cercato di escludere errori di posizionamento degli elettrodi stimolatori (in questo caso l’area dorsolaterale del nucleo subtalamico cerebrale, in sigla STN), ma tutto è risultato in ordine.

La stessa area per nuotare e camminare

Evidentemente non di errori neurochirurgici si trattava, ma di un problema intrinseco all’ambiente acquatico (4) e i ricercatori hanno ipotizzato il verificarsi di una stimolazione parallela dell’area motoria supplementare che controlla sia i movimenti che gli arti compiono in maniera fra loro indipendente (requisito fondamentale per il nuoto), sia i movimenti alternati delle gambe durante il cammino.

Di fatto tutti i pazienti che non riuscivano più nuotare, camminavano invece ancora bene e così i ricercatori, in attesa di una spiegazione, hanno deciso di pubblicare i risultati dello studio per mettere in guardia i pazienti sul rischio di nuotare in acque profonde.

Una spiegazione dall’Italia

“La soluzione potrebbe essere tecnica – commenta il professor Alberto Priori Direttore Clinica Neurologica III dell’Università di Milano Polo S. Paolo e del Centro di Ricerca Neurotecnologie e Terapie Neurologiche Innovative dell’omonimo Ateneo- e cioè la temperatura dell’acqua lacustre in cui nuotavano i pazienti perché i device DBS sono sensibili alla temperatura, ma i colleghi svizzeri non forniscono dati al riguardo e d’altro canto le ricerche su questo aspetto sono ancora in corso e vanno meglio argomentate.”

“Una spiegazione neurologica più solida – aggiunge Priori – è invece il fatto che durante il nuoto si verifica un’iperattivazione delle aree di controllo di alcuni movimenti e proprio gli effetti di tale surplus di stimoli andrebbero tenuti sotto controllo, una cosa che non può fare la DBS convenzionale usata nello studio che invia impulsi elettrici con frequenza e intensità sempre uguali. Il problema sarà probabilmente risolto dai nuovi sistemi di stimolazione adattativa che di volta in volta adeguano automaticamente gli impulsi alle necessità del paziente.

La vecchia stimolazione cerebrale profonda, pur fornendo benefici ben superiori ai soli farmaci, va ulteriormente migliorata. Come ha fatto la nuova DBS adattativa (in sigla aDBS, ndr 5), frutto di una tecnologia tutta made in Italy. Usare la DBS piuttosto che la aDBS è un po’ come percorrere la Roma-Milano con un’auto sempre in terza piuttosto che con il cambio automatico che ottimizza prestazioni e consumi. Sono convinto che il nuovo tipo di stimolazione potrà a breve aiutare anche i pazienti italiani con malattia di Parkinson sia sulla terraferma che in acqua”.

 

Casi emblematici

In un 69enne che abitava sulle rive del lago di Zurigo la DBS ha risolto le fascicolazioni motorie che lo affliggevano da tempo restituendogli una tal fiducia da indurlo a tuffarsi nel lago da cui poi fu salvato solo grazie all’intervento di un familiare.

Un 59enne parkinsoniano con fluttuazioni motorie che aveva continuato a fare gare di nuoto fino a poco prima dell’impianto di DBS ha ottenuto un buon controllo motorio, ma non è poi stato più capace di nuotare come prima, nemmeno se coadiuvato da un idrokinesiterapista.

Una parkisoniana 61enne riuscita a diventare bagnina e che partecipava a gare di attraversamento del lago di Zurigo, dopo l’intervento di DBS ha ottenuto un buon controllo motorio senza fluttuazioni, ma riusciva a nuotare solo per poco più di duecento metri e in acqua i suoi movimenti diventavano goffi e impacciati.

Tre pazienti, incalliti amanti del nuoto, informati dai curanti del problema hanno provato a interrompere la stimolazione DBS e la loro capacità di nuotare è ritornata rapidamente normale, con completa coordinazione degli arti in acqua, ma sulla terra ferma i sintomi parkinsoniani sono altrettanto rapidamente ritornati, cosicché hanno dovuto riprendere la stimolazione.

Riabilitazione con IdroCT

Tra le varie opzioni riabilitative tramite idroCT (6) vanno ricordate:

  • La presa di coscienza corporea, con esercizi di ambientamento e rilassamento con iniziale riduzione del tremore e aumento della recezione corporea tramite la stimolazione dell’acqua con l’operatore che aiuta il paziente a distinguere e a “sentire” i movimenti.
  • Esercizi per migliorare l’attività respiratoria che tende a ridursi per l’atteggiamento del tronco in flessione (da effettuare specialmente nelle fasi iniziali della seduta e alla fine dell’esercizio per il recupero).
  • Esercizi di mobilizzazione attiva dei distretti articolari e di allungamento degli arti e del tronco per contrastare l’atteggiamento captocormico.
  • Esercizi di coordinazione ed equilibrio, facilitato in acqua dall’uso di tavolette o palle tenute bilateralmente (La tavoletta è un ottimo attrezzo per le afferenze tibio-tarsiche: messa sotto i piedi stimola il controllo propriocettivo).
  • Esercizi con la palla che facilitano la mobilizzazione poiché il passaggio, il percorso, il canestro, la coordinazione invogliano il paziente a movimenti più rapidi e gratificanti (ad es., facendola passare da una mano all’altra o dietro la testa), vincendo l’atteggiamento di chiusura del paziente. Possono inoltre migliorare l’azione muscolare fungendo da resistenza per il lavoro sul tono e sul trofismo generale.
  • Nei movimenti di articolarità (svincolo dei cingoli, inclinazioni laterali e diversi esercizi di stretching) si può ricorrere all’uso dei tubi di galleggiamento.
  • Posizionamento in galleggiamento, che aiuta a rilassarsi e contrasta l’atteggiamento captocormico. La preparazione al galleggiamento richiede tempo e pazienza.

Bibliografia

  1. Waldvogel, H. Baumann-Vogel, L. Stieglitz, R Hanggi-Schickli,  and  C. R. Baumann: Beware of deep water after subthalamic deep  brain stimulation, Neurology 2020;94:1-3.
  2. Benabid AL, Koudsie A, Pollak P et al. Future prospects of brain stimulation, Neurol Res 2000;22:237-246
  3. Frazzitta, G., Maestri, R., Bertotti, G., Riboldazzi, G., Boveri, N., Perini, M., et al. (2015b). Intensive rehabilitation treatment in early Parkinson’s disease: a randomized pilot study with a 2-year follow-up. Neurorehabil. Neural Repair 29, 123– 131. doi: 10.1177/1545968314542981
  4. Taga G, Yamaguchi Y, Shimizu H (1991) Self-organized control of bipedal locomotion by neural oscillators in unpredictable environment. Biol Cybern 65: 147–159
  5. Priori A, et al: Adaptive deep brain stimulation (aDBS) controlled by localfield potential oscillations, Experimental Neurology245(2013)7786
  6. Nallegowda M, Singh U, Handa G, Khanna M, Wadhwa S, Yadav SL, et al. Role of sensory input and muscle strength in maintenance of balance, gait, and posture in Parkinson’s disease: a pilot study. Am J Phys Med Rehabil. 2004;83: 898–908. pmid:15624568
Cesare Peccarisi

Responsabile della Comunicazione Scientifica della Società Italiana di Neurologia