PET e volume ippocampale per prevedere l’Alzheimer
Un riscontro positivo per placche beta amiloidi aumenta di 2,5 volte il rischio di malattia
Un ridotto volume ippocampale e un riscontro positivo di placche beta amiloidi alla tomografia a emissione di positroni (PET) con F-18-flutemetamolo come radiotracciante possono consentire di prevedere, fino a tre anni, il rischio di progressione da un lieve deficit cognitivo verso la malattia di Alzheimer. È quanto emerge dai risultati di uno studio, in cui sono stati coinvolti pazienti di età maggiore o uguale a 55 anni (n =232).
Nel corso dello studio, pubblicato su JAMA Neurology da David Wolk dell’Università della Pennsylvania a Philadelphia e colleghi di un’ampia collaborazione internazionale, in cui figura anche Andrea Cherubini dell’Istituto di Bioimmagini e Fisiologia Molecolare di Roma, gli autori hanno effettuato scansioni di PET dopo somministrazione di 185 Mbq di F-18 flutemetamolo al basale (successivamente valutate in cieco), e misurazioni del volume ippocampale dei soggetti al basale e per tutto il follow-up. I pazienti hanno subito anche valutazioni cliniche ogni 6 mesi per tre anni.
Il 42,2% circa della coorte di studio ha avuto un riscontro positivo alle scansioni PET. Alla fine dello studio, il 36,2% dei partecipanti ha ricevuto una diagnosi di probabile malattia di Alzheimer. Ma il dato rilevante è che dall’analisi statistica è emerso che i soggetti positivi alla sola scansione per beta amiloidi avevano un rischio aumentato di 2,5 volte di progressione verso la malattia di Alzheimer rispetto ai soggetti con referto negativo (53,6% dei soggetti vs 22,8%, rispettivamente; HR = 2,51). Ulteriori biomarker associati alla progressione da lieve deficit cognitivo a malattia di Alzheimer sono risultati il limitato volume ippocampale (HR =5,60) e un basso punteggio nei test dello stato cognitivo (HR =8,45).