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fitoterapia

Estratti vegetali conosciuti dall’antichità e ancora oggi impiegati con successo nella terapia delle cefalee

Sull’ultimo numero del Journal of Ethnopharmacology i ricercatori del CNR dell’Istituto per i sistemi agricoli e forestali del Mediterraneo (ISAFOM) e dell’Istituto di scienze neurologiche (ISN) diretti da Giuseppe Tagarelli hanno pubblicato uno studio sui rimedi naturali della medicina popolare italiana tra il XIX e il XX secolo, scoprendo che il 79% circa delle piante utilizzate in passato presentava in realtà metaboliti secondari ad azione antinfiammatoria e analgesica che contrastavano i meccanismi alla base delle principali forme di cefalea e, come testimoniato da Ippocrate, Plinio il Vecchio, Dioscoride, Galeno e Sereno Sammonico, il 42% di queste piante era già impiegato quasi duemila anni fa, tra il V secolo a.C. e il II d.C.

I principi attivi di queste piante, cioè flavonoidi, terpenoidi e fenilpropanoidi, inibirebbero i mediatori implicati nello scatenamento degli attacchi bloccando gli enzimi per la biosintesi delle prostaglandine, i principali mediatori dell’infiammazione.

I diterpeni, estratti da girasole, sambuco e artemisia, agiscono sulle cavie in maniera sovrapponibile ai FANS. Un’altra pianta, il Tanacetum parthenium, sembra svolgere la stessa azione. L’effetto deriverebbe dal partenolide, sostanza con azione antiossidante protettiva, che inibisce la sintesi delle prostaglandine proinfiammatorie e avrebbe anche azione analgesica.

Al secondo congresso nazionale congiunto ANIRCEF-SISC svoltosi a Bologna dal 24 al 26 novembre 2016 i neurologi dell’Istituto Clinico di Brescia diretti da Giorgio Dalla Volta hanno presentato i risultati di uno studio su 50 pazienti che soffrivano di emicrania con aura trattati con un integratore a base di tanacetum partenium, griffonia e magnesio, che ha ridotto significativamente la durata dell’aura in media del 26,4% (da quasi 35 minuti a meno di 9), con un dimezzamento della disabilità in oltre il 90% dei casi. Con il 70% di attacchi in meno e una durata inferiore del 20%, il dolore ridotto del 37,5% e il consumo di farmaci di oltre il 33%, i pazienti hanno riportato una soddisfazione del 200%.

Ginkgo biloba è un’altra pianta nota fin dall’antichità e usata per i suoi effetti sul microcircolo cerebrale. Ora ne viene estratta la frazione fitosomiale ginkgolide B, che, associata a vitamina B2 e coenzima Q10, ha portato a un integratore per la prevenzione dell’emicrania.

La scelta delle sostanze associate al ginkgolide ha un preciso razionale: la vitamina B2 migliora il funzionamento dei circuiti implicati nella regolazione della soglia dolorifica e il coenzima Q10 riduce la formazione di radicali liberi, con un’azione sinergica a quella dello stesso ginkgolide B. Ma il suo punto di forza sarebbe l’antagonismo per il cosiddetto PAF, il fattore di aggregazione piastrinica. Nell’imminenza di un attacco emicranico, infatti, i vasi meningei rilasciano CGRP, peptide che provoca vasodilatazione e infiammazione, stimolando contemporaneamente pareti vasali e piastrine a rilasciare PAF, che prepara il terreno al vero attacco operato dal CGRP. Il CGRP va così a stimolare il ganglio trigeminale che libera i segnali dolorosi che innescano l’attacco. Ma perché ciò accada, i neuroni trigeminali devono essere stati sensibilizzati all’azione del CGRP dal PAF e, se il ginkgolide lo impedisce, la cascata di eventi viene bloccata.

Alessandro Visca

Giornalista specializzato in editoria medico­­­­-scientifica, editor, formatore.